Uno dei miei ragazzi ucraini che sto ospitando ha deciso: quest’anno, dopo la maturità, chiederà di essere ammesso al Politecnico di Milano. A Kharkiv, la città da cui viene, e in altre parti del suo Paese c’è molto da ricostruire. Non è solo una prospettiva di un lavoro sicuro. È anche un impegno morale verso i suoi connazionali, i suoi amici, che sono morti e per i tanti altri che sono rimasti senza casa e senza le infrastrutture necessarie per il lavoro.



Buon lavoro Vova, anzi, per adesso, buono studio!

Già. Forse può sembrare strano che qualcuno, tra cui io, possa pensare alla necessità della ricostruzione, quando ancora si continua a distruggere e ad uccidere.

Eppure come testimone oculare della ricostruzione – se preferite la possiamo chiamare “perestrojka” – che fu necessaria dopo lo sfacelo dell’Unione Sovietica, direi che sin d’ora è bene incominciare a pensarci.



Si tratta, infatti, di una ricostruzione non solo materiale, a tutti evidente, ma anche di una ricostruzione spirituale della cui importanza, forse, non tutti si rendono conto.

Al “si salvi chi può” della guerra si può sostituire il “si salvi chi può” della pace, come gli inevitabili conflitti che l’egoismo umano vede moltiplicarsi a causa del bisogno.

In questi giorni di Pasqua, almeno per quelli per cui la Pasqua non è la scusa per un weekend più lungo, non possiamo non pensare alla necessità di capire che cosa ha da dirci il Mistero della Resurrezione.

Lev Tolstoy, proprio alla fine del 800 (1899) diede alle stampe un grande romanzo a cui impose proprio il titolo di Resurrezione. È la storia di una povera ragazza che, sedotta e abbandonata, diventa prostituta per mantenere il figlio. Deportata in Siberia, determina, con la sua condotta di donna che ritrova la sua dignità, anche la conversione di chi l’aveva ingiustamente giudicata.



In un certo senso non è dissimile la storia di Delitto e castigo di Dostoevskij, dove il responsabile di un terribile delitto, provocato dal bisogno, si converte per amore di una ragazza che lo accompagna poi nella deportazione in Siberia.

In entrambi i casi la conversione è frutto di un rapporto con Dio riscoperto dopo un’esperienza di vita, nella quale il Redentore si è servito del male, del peccato, per provocare la scelta radicale del Bene.

È però importante sottolineare che, sia in Tolstoj che in Dostoevskij, la conversione morale è frutto di una fede ritrovata, capace di sostenere l’uomo nella ricerca della vera giustizia.

È proprio quello di cui abbiamo bisogno noi tutti, non solo i russi e gli ucraini.

Dire che “Kristos vaskriés, va istinno vascriés”, che il Signore è risorto, veramente è risorto, come ci si augura la Pasqua sia in Russia che in Ucraina, è la premessa indispensabile per una vera ricostruzione, anche di rapporti. Gesù con la Resurrezione non semplicemente ha cominciato a stare un po’ meglio, ma è veramente Risorto, come ebbi a dire molti anni fa a qualcuno che rischiava di intendere la Pasqua come una specie di mito.

È questo il fondamento di una ragionevole speranza anche per quelli che sono morti. Le case, le scuole, le fabbriche si possono ricostruire. Chi muore, e chi è legato a lui, deve poter sperare, ragionevolmente, in una giustizia che è divina, misericordiosa.

Non tutte le vittime sono innocenti, ma tutti hanno bisogno di questa speranza, pasquale. Questi, non so se l’avete capito, sono i miei auguri di Pasqua. “Gesù è risorto, veramente è risorto”.

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