Ci hanno abituati fin da piccoli, noi della generazione nata dopo la fine della seconda guerra mondiale, a credere che, nonostante tutto, la maggioranza di un popolo, quando è libera da un sistema totalitario, dimostri la sua naturale bontà. La maggioranza ha sempre ragione, perché la maggioranza di per sé è fatta di gente responsabile, pacifica, eccetera. E se non fosse sempre così? Forse non può accadere che una maggioranza assetata di rivincita, accecata da un odio suscitato da chi le promette quello che non avrebbe mai sperato, si schieri a sostegno di qualcuno che ne sa interpretare il disagio?
Tranquilli, non sto parlando delle prossime elezioni del 25 settembre, ma di una situazione che oggi accumuna la Russia ed altri popoli che si sentono in diritto di usare ogni mezzo per ottenere quella che si ritiene la giustizia. In fondo questa non è anche la storia di tante rivoluzioni create per ottenere un bene che, dopo tanto sangue versato, è ancora al di là da venire? Domani, perché no, questa potrebbe essere la tentazione anche dell’Ucraina.
Tutto questo potrebbe mostrare una prospettiva pessimistica sulla realtà, se non ci fosse una possibile, anche se difficile, alternativa. Questa alternativa si chiama educazione del popolo.
È quella intrapresa con pazienza, con carità, animata dalla fede e dalla speranza, dai primi cristiani, che impotenti a cambiare il mondo pagano, che era pur sempre il mondo in cui erano nati e di cui portavano anche loro le tracce, cominciarono a educare se stessi e gli altri, arrivando a cambiare quello che era possibile.
In tempi più recenti mi piace citare l’esempio dei popoli che facevano parte di quella che allora si chiamava Cecoslovacchia. Alla caduta del muro di Berlino seppero trovare il modo di ricostruire una società un po’ più giusta, cominciando dalla separazione praticamente indolore tra boemi, moravi e slovacchi.
Non so se oggi gli abitanti di queste terre sono ancora coscienti del bene ricevuto dai loro padri e dai loro nonni, ma io lo sono, ricordando quella notte di festa nella Piazza Vecchia di Bratislava e il modo non violento con cui poi si superò l’illusione del comunismo sovietico.
Ma la Russia, la Russia di oggi, non ha avuto nessuna festa per la caduta del Muro. Anzi, forse si potrebbe dire che il Muro le è caduto sulla testa e molti sono ancora convinti che se la perestroika era un’illusione, quel tipo di liberà alternativa, vigilata dall’Occidente, non era, non è proprio il massimo. Di qui l’affermarsi di un ampio sentimento nazionalistico che in fondo accumunava, ed accumuna, le diverse e a volte contrapposte componenti della società.
Nella Cecoslovacchia liberata si sentì l’effetto della repressa Primavera di Praga, di una generazione di uomini di cultura di cui Havel era un’espressione, di una Chiesa non popolare come in alcuni Paesi confinanti, ma capace di essere un punto di riferimento anche di chi non aveva la fede, almeno quella cristiana.
Così oggi la Russia, e in un certo senso anche l’Ucraina, hanno bisogno di educazione, di quell’educazione che ha avuto da quelle parti grandi maestri, ma che oggi non può ridursi a stare dalla parte dell’Occidente, cioè di un mondo che là molti sentono ancora ostile.
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