La recente “marcia su Mosca” di Prigozhin e del suo Gruppo Wagner ha richiamato l’attenzione su una questione che ha, fin dall’antichità, caratterizzato le vicende di guerra: i mercenari, che prestano la loro opera esclusivamente, o quasi, per la mercede e quindi per chi offre di più. D’altra parte, anche il termine soldato viene da soldo, cioè mercede. In passato, i gruppi di mercenari non operavano per un solo committente, ma si mettevano sul mercato in attesa della migliore offerta, cambiando spesso impresario. Nell’ultimo periodo del medioevo, l’organizzazione nelle cosiddette compagnie di ventura diede maggiore solidità ed efficienza ai raggruppamenti mercenari, i cui capitani iniziarono ad avere anche obiettivi politici. Un esempio preclaro è dato da Francesco Sforza e la sua ascesa al ducato di Milano.
Il Gruppo Wagner sembrerebbe definibile come una moderna compagnia di ventura, al servizio però di un solo committente: la Federazione Russa. Fondato nel 2014, il Gruppo ha operato nel Donbass e in Crimea, prima di essere impegnato in Ucraina. La sua presenza in diversi Paesi africani, come Libia, Sudan o Mali, oltre che fornire benefici economici al Gruppo, rappresenta una sorta di longa manus di Mosca per influenzare i governi di quei Paesi.
In Occidente gli operatori di queste compagnie vengono definiti contractor, per sottolineare che la mercede è parte di un normale e regolare contratto, che riguarda un’ampia gamma di attività, dalla sicurezza all’evacuazione di civili da zone di guerra, alla partecipazione diretta in operazioni militari. È questo il caso della Blackwater, impiegata sul campo in Afghanistan e Iraq; nella guerra in questo ultimo Paese, le milizie private sembra eguagliassero in numero le truppe regolari statunitensi. Uno dei vantaggi dell’uso di compagnie private è che i loro caduti possono non essere compresi nelle statistiche ufficiali, attenuando così nei cittadini la percezione del costo in vite umane della guerra.
Un parallelo con l’utilizzo delle compagnie di ventura si può trovare anche nelle fasi iniziali della guerra per la costituzione dello Stato italiano: mi riferisco a Giuseppe Garibaldi e alla sua spedizione dei Mille. Si è trattato di una spedizione “privata” in quanto non ufficialmente sostenuta da nessun governo, anche se tacitamente autorizzata da Cavour e sostenuta finanziariamente, come anche dalla Gran Bretagna. Premessa allo sbarco in Sicilia fu un’insurrezione antiborbonica a Palermo.
Come noto, la spedizione ebbe un grande successo e Garibaldi passò ad attaccare i Borboni anche nella penisola, portando all’intervento diretto dell’esercito regolare sabaudo. Nell’incontro di Teano, Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele II le terre conquistate, di cui deteneva il titolo di “dittatore”, riconoscendo l’autorità del re. Ai componenti la spedizione fu consentito di entrare nell’esercito regio. Dopo questo incontro, Garibaldi si ritirò a Caprera, senza accettare onorificenze o incarichi.
Tuttavia, due anni dopo, nel 1862, ritornò in Sicilia per organizzare una nuova spedizione con l’obiettivo di marciare su Roma e abbattere lo Stato pontificio, operazione ostacolata dal governo sabaudo. Infatti, l’esercito regio intercettò sull’Aspromonte gli uomini di Garibaldi, che, nel tentativo di evitare spargimento di sangue tra italiani, venne egli stesso ferito. Episodio ricordato in un canto popolare che recita: “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba, Garibaldi che comanda, che comanda il battaglion”.
Sono partito da Prigozhin ma sarebbe evidentemente azzardato fare paragoni tra lui e Garibaldi, sebbene vi siano dei punti di contatto tra le due vicende. A partire dalla constatazione di come sia pericoloso l’utilizzo inavveduto del termine mercenario: non lo era di certo Garibaldi, ma forse va stretto anche a Prigozhin, malgrado il suo spiccato senso per gli affari. Garibaldi era spinto, accanto e forse più che dall’unità d’Italia, dalla sua concezione rivoluzionaria della società. Anche dietro le azioni di Prigozhin si può intravvedere il desiderio di ricostituire la grandezza della “Santa Russia”, pur con un attento occhio al lato finanziario. Una prospettiva che in Occidente faremmo bene a non sottovalutare.
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