I più fedeli lettori del Sussidiario ricorderanno che già tempo fa scrissi dell’importanza del nazionalismo russo e del neopaganesimo slavo che fa da supporto ideologico della attuale politica del Cremlino. Tra questi leaders del nazionalismo russo, a parte lo stesso Navalny, oggi campione della democrazia, ma a suo tempo espulso dal partito liberale moderato Jabloka per i suoi eccessi di razzismo, uno che certamente ha un suo peso è da considerare Aleksandr G. Dugin.



Non a caso l’anno scorso è stato fatto oggetto di un attentato che è costato la vita a sua figlia. L’attentato non è mai stato rivendicato da nessuno, ma forse non è sbagliato pensare che i servizi segreti ucraini sanno chi colpire. Dugin è stato il teorico della creazione di un’idea di Eurasia, per la verità ben diversa da quella dell’ex presidente del Kazakistan Nazarbayev, che prevede nel mondo una forma di bipolarismo: dopo il blocco costruito attorno agli Stati Uniti se ne contrappone un altro che ha come perno la Russia e come supporto gli alleati del mondo asiatico.



Riporto alcuni brani da un articolo pubblicato nel 2012 dalla rivista Eurasia di Parma. La rivista contiene anche altri contributi sul progetto di Putin che oggi sembra attuarsi, Cina permettendo. “L’Unione eurasiatica non è soltanto un’iniziativa economica, anche se Putin insiste sull’economia. Se il discorso dovesse procedere solo in quella direzione, allora perché non limitarsi a un modello-euro, oppure a un’Unione eurasiatica come spazio unitario economico, oppure ad un’Unione doganale? No! Putin parla di Unione eurasiatica come qualcosa di diverso. Come di un’autentica strategia politica (…). Il primo nucleo consiste nella costruzione di un mondo multipolare. Non si vede la necessità né di un mondo unipolare, né dell’egemonia americana, che Putin ha criticato nel suo discorso di Monaco (…). Dall’idea di un mondo multipolare scaturisce il secondo nucleo della filosofia politica eurasiatista: l’integrazione dello spazio postsovietico. È proprio quello che Putin va sottolineando (…). Il terzo nucleo del mondo multipolare è rappresentato dalla riedificazione della Russia, non partendo da quel modello liberal-democratico che negli anni 90 venne copiato dall’Occidente, ma percorrendo la nostra specifica via di sviluppo. La caratteristica della nostra società consiste nel fatto che da noi non esiste una nazione borghese. Noi non abbiamo una società civile fondata sui principi dell’individualismo e del liberalismo, come lo sono la società americana o quella europea. Il sistema di valori della Russia è radicalmente diverso (…)”.



Ricordo che l’anno seguente in due successive conferenze a Roma e a Milano incontrai personalmente Dugin, sulla cui rivista avevo pubblicato anch’io un articolo riguardante gli italiani dispersi in Kazakistan. Tutt’e due le volte gli feci presente che la sua visione dell’Europa era ben diversa da quella prospettata da Giovanni Paolo II che aveva parlato di una “Europa a due polmoni”. Rispose che l’Europa doveva semplicemente scegliere con chi schierarsi. Il suo antiamericanismo suscitò il favore della maggior parte dei giornalisti presenti dell’area della sinistra. Solo uno di loro poi al buffet mi disse: “Guardi un po’ Reverendo, se mi tocca ammettere che solo un prete ha capito che quello lì non è dei nostri, ma è uno potenzialmente fascista”.

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