Guardando i dati ufficiali delle elezioni in Russia mi è venuto un dubbio. E se fosse la matematica il vero oppositore di Putin? Guardate i risultati ufficiali: Vladimir Putin 88,50%, Nicolaj Kharitonov 4,36%, Vladislav Davankov 3,86%, Leonid Slutski 3,25%. Insomma facendo la somma di tutto quello che hanno ottenuto i competitors di Putin si ottiene esattamente 11,50%. Ovvio!? Be’, qualcuno avrà pur votato scheda bianca. Qualcun altro coraggioso si sarà permesso di mandare qualche messaggio non proprio complimentoso al futuro, passato presidente, approfittando del “segreto” dell’urna. Qualche muzik della Siberia avrà pure sbagliato a scrivere il nome della preferenza. Perché non appaiono conteggiate queste schede?



Ora al “fronte largo”, ma non proprio larghissimo dell’opposizione legale, guidata da un valoroso rappresentante di quel poco che è rimasto del Partito Comunista, Kharitonov, rimane il compito di fare una scelta: siamo oppositori della politica di Putin o semplicemente concorrenti nella gestione della stessa politica, più o meno?



C’è poi un dato ancora che non può non farci pensare. È quello dei partecipanti alle elezioni. È altissimo, molto superiore a quelle del passato. Questa volta è stato di oltre il 73%. Tra il 17% di coloro che erano ammalati o isolati dalla neve accumulatasi nella steppa c’è stato anche il gran numero, enorme, ma incalcolabile per noi, dei giovani chiamati alle armi e fuggiti per questo dal Paese. Loro non potevano neanche avere, ovviamente, il diritto di andare a votare dall’estero. Come giustificare di trovarsi in Kazakistan o in Georgia, se avrebbero dovuto presentarsi in caserma? Anche il voto telematico li avrebbe facilmente identificati. Ora appaiono non solo renitenti alla leva, ma anche al voto.



Ancora una volta si pone la domanda: che sarà di loro? Se attualmente si trovano in un Paese come il Kazakistan più o meno possono restare, anche se, non essendo ricchi e in grado di spendere, incominciano a non essere più ben accolti. E quelli che sono venuti in Occidente, anche in Italia, anni fa, con regolare borsa di studio, ora che è finito il periodo previsto e che hanno già ricevuto la “cartolina”, dovranno essere espulsi dai nostri Paesi?

Sorte, tra l’altro, che di per sé è condivisa, paradossalmente, anche da tanti giovani ucraini che, arrivati minorenni come profughi, ora sono diventati maggiorenni e quindi sono stati anche loro chiamati alle armi da un Paese, l’Ucraina, sempre più bisognoso di combattenti. Non sto parlando di immigrati arrivati col gommone dall’Africa, ma di giovani non tanto diversi dai nostri e che rischiano di diventare, e forse già lo sono, un caso umano, prima che politico. Una nuova categoria di immigrati clandestini?

Rimane una questione, non da poco, che pongono le elezioni in Russia. Anzi alcune questioni. L’uscita di Salvini (“Quando il popolo vota ha sempre ragione”) contiene, volenti o no, una serie di osservazioni interessanti. La maggioranza ha sempre ragione? È un fatto che nonostante tutte le giuste critiche che si sono fatte al metodo con cui sono state gestite le consultazioni, tutti quelli che conoscono bene la Russia sanno che oggi la maggioranza della popolazione è comunque per Putin. Questo significa che non dobbiamo esimerci dal compito di avere come interlocutore lo stesso popolo russo.

Un certo modo di decidere le sanzioni, ad esempio quelle nel campo dello sport, ha finito col colpire più di quello che si può immaginare l’orgoglio popolare, che vedeva nelle competizioni sportive una forma di rivincita nei confronti degli “altri”. Lo stesso si può dire di quelle iniziative demenziali di penalizzare le grandi espressioni della cultura russa, come se Chajkovski o Dostoevskij fossero partigiani di Putin, e non vera espressione dell’animo più profondo del popolo.

C’è poi da registrare anche la reazione militarista di alcuni leaders occidentali, da Macron al presidente del Consiglio europeo Michel, che invitano ad armarsi nella prospettiva di un disimpegno americano dalla NATO e di una possibile nuova avanzata russa in Europa. Il punto debole dell’Europa non è tanto la mancanza di un esercito, ma la mancanza di unità tra eserciti nazionali che messi insieme dovrebbero costituire probabilmente una barriera sufficiente per difenderci dall’aggressione. Inoltre c’è, da sempre, un altro punto debole rappresentato dal fatto che negli attuali confini nazionali oggi si trovano popolazioni che storicamente si sentono più legate ad altre nazioni.

Paradossalmente però questo potrebbe essere anche il punto debole della Federazione Russa, al cui interno si trovano etnie ben diverse per cultura e tradizione. Un esempio di una realtà piccola, ma significativa, è quella dei buriati, popolazione mongolo-turca che ha fornito i militari che hanno compiuto la strage di Bucha. Se tatari, ceceni, daghestani, bashkiri, eccetera eccetera cominciassero a pretendere la loro indipendenza, già ottenuta dai kazaki, dagli uzbeki, dai tagiki, magari con l’appoggio della Cina, o nel caso dei tagiki dell’Iran, nella Federazione Russa si aprirebbero bei problemi.

Comunque, ora, se si vuole la pace, con chi si deve trattare? Con Putin, o con Mentana, o con Lilly Gruber o con l’orso di Masha?

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