Ieri la portavoce del ministero degli Esteri russo Marija Zakharova ha respinto l’ipotesi del Vaticano come possibile sede di colloqui tra Russia e Ucraina. Come si ricorderà, nel corso di una intervista alla rivista ufficiale dei gesuiti americani, Bergoglio aveva detto che “i più crudeli sono forse quelli che vengono dalla Russia, ma non dalla tradizione russa, come i ceceni, i buriati, e così via”, scaricando così le colpe delle atrocità commesse in guerra su due popoli in particolare. “Parole non cristiane” le aveva definite il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, a cui adesso la sua portavoce aggiunge la dichiarazione che “noi e i nostri fratelli ceceni e buriati non apprezzeremo che si apra una trattativa in Vaticano”, come ha proposto il segretario di Stato, cardinale Parolin



Secondo Vincenzo Giallongo, colonnello dei Carabinieri, esperto di sicurezza, numerose missioni estere, in Iraq durante la missione Antica Babilonia, “è evidentemente un balletto, un gioco delle parti, perché il vero motivo per il quale il Cremlino continua a rimandare ogni possibile apertura al dialogo, pur avendo detto di essere disponibile più volte, è che a Putin al momento non è stata offerta alcuna concessione”. E senza, non potrà mai cominciare una trattativa.



Il Cremlino si comporta in modo contraddittorio, rinviando l’apertura di un dialogo di pace, nonostante proprio Mosca abbia detto più volte di essere disponibile. Che gioco sta facendo la Russia?

È il gioco delle parti. Putin si trova tirato per la giacca da chi vorrebbe che fermasse le ostilità e gli irriducibili, fra cui effettivamente ci sono i ceceni, il cui leader lo ha criticato più volte per non aver messo in atto una seria azione di guerra. Il fatto reale dietro a questo atteggiamento è che Putin non può permettersi di sedere a un tavolo di pace se non ha precise garanzie di ottenere qualcosa. Cose che al momento non gli sono state promesse.



Intende Crimea e Donbass?

Qualunque cosa, perché Putin davanti al suo popolo e ai sacrifici in cui lo ha costretto non può chiudere il conflitto restando a mani vuote

Lui stesso ha però detto che prima o poi un dialogo sarà inevitabile. Fino a quando e a che costo tirerà la corda?

Quello che sappiamo da fonti non ufficiali è che russi e americani si sono incontrati a Istanbul per cominciare a intavolare un ipotetico piano dei colloqui. In questo piano al momento non sembra emergere alcuna concessione alla Russia. Più che a un tavolo di trattative, Putin dovrebbe sedersi davanti a una “tabula rasa” e questo non può permetterselo.

Quindi che concrete prospettive ci possono essere?

In molti sono convinti che continuerà a mandare messaggi di disponibilità fino a gennaio-febbraio compresi.

Perché quella data?

Perché allora le condizioni climatiche saranno cambiate e avrà la possibilità di lanciare una potente nuova offensiva, grazie a tutte le riserve che nel frattempo saranno state addestrate.

Se succederà questo, l’Ucraina accetterà di fare delle concessioni?

Dovrebbe farlo, perché sarà chiaro che con zero concessioni non ci sarà mai pace. Il pallino ce l’hanno gli americani, che fanno questa guerra per interposta persona.

Recentemente però gli americani hanno mandato chiari segnali a Zelensky, invitandolo ad accettare delle trattative. Non è così?

Gli americani fanno credere all’opinione pubblica di mandare dei segnali, però basterebbe non dare più armi e aiuti economici a Kiev. Sono loro e gli inglesi che mantengono Zelensky, senza di loro il presidente ucraino perderebbe la guerra in pochi giorni.

Allora aspetteremo ancora?

Non escludo che si arrivi a qualcosa di concreto proprio nel momento della riapertura del conflitto. Putin è indebolito, lo dimostra il fatto che l’Europa ha deciso un tetto massimo al petrolio russo di 60 dollari al barile. In realtà, lo vendono già a 57 dollari al barile, e questo dimostra che è in grosse difficoltà. Chi glielo compra, lo sta prendendo per il collo, perché Putin ha bisogno di venderlo.

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