Il mandato di arresto della Corte penale internazionale dell’Aia (Cpi) contro il presidente della Federazione Russa continua a sollevare molte perplessità, non legate alla reale esistenza di un tentativo di russificazione di bambini portati via dall’Ucraina. Questi fatti non sono negati neppure dagli imputati, pur con una diversa interpretazione della questione, e sono confermati anche da un recente e dettagliato rapporto dell’Onu.
Il 15 marzo scorso, lo Human Rights Council dell’Onu (Hrc) ha pubblicato un’estesa relazione su comportamenti anti-umanitari e veri e propri crimini di guerra verificatesi in Ucraina dopo l’invasione russa. Dalla lettura del documento si ricava la certezza per molti casi, e la probabilità per molti altri, di atti ingiustificabili da parte delle truppe russe o ad esse collegate, come il gruppo Wagner. Seppure in misura nettamente inferiore, anche i militari ucraini sono accusati di crimini simili: una riprova di come questa guerra sia sporca, ammesso che esistano guerre “pulite”.
Il rapporto si conclude con un invito ai governi dei due Stati belligeranti a rispettare le leggi internazionali sulla condotta della guerra, a risanare le situazioni critiche provocate, in particolare per i detenuti o deportati illegalmente, a partire dai minori, e a collaborare con le organizzazioni internazionali. Un invito rivolto particolarmente alla Federazione Russa, avendo il governo ucraino espresso la propria volontà di collaborare, per esempio nel processare i colpevoli dei crimini evidenziati.
Il Consiglio chiedeva poi una stretta collaborazione tra le istituzioni nazionali ed internazionali, al fine di evitare duplicazioni di inchieste che ridurrebbero la loro efficacia e aumenterebbero le difficoltà delle vittime chiamate a testimoniare. Il mandato di arresto contro Putin è stato emesso il 17 marzo 2023, due giorni dopo la pubblicazione del rapporto Hrc, e farebbe pensare a una non collaborazione tra le due istituzioni. Nel documento dell’Onu si invitava il governo russo ad individuare e incriminare i responsabili dei reati, citando anche la Cpi, ma con riferimento a una dichiarazione del procuratore capo, il britannico Karim Ahmad Khan, del 2 marzo 2022, cioè di un anno fa. La dichiarazione riguardava l’apertura del processo investigativo sulla vicenda dei bambini deportati dall’Ucraina in Russia.
Nell’intervista a Pasquale De Sena sul Sussidiario, vengono posti in evidenza i discutibili aspetti giuridici e politici sottostanti al mandato di arresto, ma a questo punto sembrerebbe credibile che abbiano prevalso le valenze politiche. Anche se è da tener presente che la Corte dell’Aia non può giudicare in contumacia, ma solo con la presenza dell’imputato, da qui la necessità del mandato di arresto.
La giurisdizione della Cpi non è riconosciuta dalla Federazione Russa, come non lo è da parte dell’Ucraina. Tuttavia, nell’aprile 2014 il governo ucraino chiese alla Corte di indagare su crimini di guerra commessi in Ucraina nel periodo dal 21 novembre 2013 al 22 febbraio 2014, cioè il periodo delle manifestazioni di Piazza Maidan fino alla rimozione del filorusso Yanukovich. Relativamente a questa inchiesta, l’Ucraina si impegnava ad accettare le risoluzioni della Corte.
Nel 2015, una nuova richiesta estendeva il periodo dal febbraio 2014 a tempo indeterminato, citando esplicitamente crimini commessi dalle truppe russe. Nel dicembre 2020, la procuratrice uscente affermava che le prove di crimini commessi erano sufficienti e chiedeva l’apertura del procedimento da parte del nuovo procuratore, una volta eletto. Pur parlando sempre di entrambe le parti, una particolare attenzione veniva data alla situazione in Crimea dopo l’annessione alla Russia. La pandemia ha rallentato i lavori e solo il 28 febbraio 2022 Karim Khan ha ufficialmente aperto l’inchiesta, che ha portato, esattamente un anno dopo, all’emissione dei mandati di arresto.
Prima di Putin, la Cpi ha emesso mandati per due soli capi di Stato: Omar Al Bashir, presidente del Sudan, latitante dal 2009, e Muammar Gheddafi, ucciso nel 2011 dopo l’attacco Nato alla Libia. Non si può mai dire, ma una fuga di Putin dal Cremlino sembra piuttosto improbabile e un eventuale cambio di regime porterebbe eventualmente a un giudizio davanti a un tribunale russo. La soluzione attuata per Gheddafi porterebbe a un attacco militare alla Russia, cioè alla tanto temuta terza guerra mondiale. Biden si è mostrato molto contento della decisione della Cpi, ma non credo stia pensando di mandare le sue forze speciali al Cremlino per catturare Putin.
Il mandato sembrerebbe avere quindi un valore simbolico, con l’obiettivo di aumentare la condanna e l’isolamento della Russia di Putin. Ho l’impressione che tutto questo serva poco a quello che dovrebbe essere il vero obiettivo: la fine della guerra e l’avvio di un processo di pace. Una vecchia norma è di evitare di mettere l’avversario con le spalle al muro, ma in questo caso vi è la possibilità che Putin utilizzi il mandato come ulteriore esempio della proterva volontà dell’Occidente di umiliare la Russia. Una strategia che potrebbe quindi rafforzare, non indebolire, la sua posizione. In un recente articolo sulla critica situazione in Moldavia, chiudevo con la domanda: ”Cui prodest? Non certo alla pace”. La domanda continua a rimanere impellente.
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