In questo mondo martoriato da guerre ed attentati ogni tanto ci scappa la buona notizia ed è assurdo che venga nascosta. Eppure, anche se quali tutte le fonti di stampa hanno dato alla notizia scarso rilievo, il 3 gennaio sono stati liberati, in un reciproco scambio di prigionieri, 248 militari russi e 230 soldati ucraini. Tra di loro anche alcuni civili e – sembra – un militare americano che combatteva per Kiev con il pudico incarico di “addestratore”.



È stato questo, mediato dal Qatar, il 49esimo scambio di prigionieri tra le parti, ma nettamente il più importate per il numero delle persone coinvolte dall’inizio del conflitto. È un segno, un piccolissimo segno che resta ancora un minimo di umanità tra le parti, o almeno di mera convenienza. Eppure, mentre si stanno avvicinando i due anni di guerra, il tema della pace si deve riproporre con forza, ma soprattutto con buona volontà nella reciproca convinzione che combattere all’infinito non servirebbe a nessuna delle due parti.



Certamente Putin è stato ed è l’invasore, quello che ha conquistato manu militari il territorio di un altro Stato e questo nessuno lo mette in dubbio, così come non si potrà prescindere in qualsiasi conferenza di pace dai diritti ucraini sui territori invasi. Un cessate il fuoco – magari garantito con la presenza di forze esterne, per esempio da truppe ONU di Paesi non aderenti alla NATO – non sarebbe certo risolutivo, ma permetterebbe intanto di risparmiare distruzioni e vite umane per dare il tempo di affrontare tutte le questioni sul tappeto. In questo momento, tra l’altro, a dispetto dei proclami bellicosi che si ripetono quotidianamente anche in Europa, un cessate il fuoco converrebbe forse più a Zelensky che a Putin, visto che l’Ucraina vede pericolosamente assottigliarsi le sue riserve di armi e alzarsi sempre di più l’età delle reclute.



Certo, i falchi NATO protesteranno e così i fornitori e costruttori di armi che con questa guerra hanno guadagnato miliardi di dollari, ma non c’è dubbio che l’opinione pubblica occidentale ed i suoi rappresentanti elettivi siano sempre più scettici. Nessuno vuole premiare Putin ed accettare lo “status quo” prodotto da una invasione, ma appare poco credibile che gli ucraini, pur rafforzati con armi o gli F16 occidentali, siano in grado di danneggiare seriamente un avversario che è stato in grado di far fronte all’isolamento ufficiale, rintuzzare la controffensiva di questa estate e di fatto ritornare ad un assetto offensivo. Concretezze, al di fuori della propaganda: Putin non ha subito grandi effetti dalle sanzioni, ha stretto alleanze ad Est, ha moltiplicato i contatti con il mondo arabo e i Paesi BRICS e soprattutto ha messo parzialmente in ginocchio l’economia occidentale che stenta a riprendersi senza il gas russo.

È sciocco negarlo, anche se non per questo devono accettarsi le conquiste russe sul campo, ma è assolutamente ora di dare fiato alla diplomazia, alla trattativa, alla verifica di ogni ipotesi per creare – ad esempio – una zona-cuscinetto sotto controllo internazionale. Putin non deve apparire il vincitore, ma nello stesso tempo sarebbe irrealistico considerarlo sconfitto perché non lo è, piaccia o meno alla stampa internazionale. All’obiezione che “Se oggi Putin si mangia l’Ucraina, domani si mangerà l’Europa” stanno i fatti e gli stessi interessi russi che a far questo non avrebbero alcun vantaggio strategico, militare o di materie prime. D’altronde Putin si è ben guardato dal provocare direttamente la NATO nonostante i massicci aiuti che l’Alleanza ha fornito a Zelensky.

Anche perché c’è un’altra, importante questione che prima o poi scoppierà e che comincia a trasparire sui media occidentali nonostante tutto, ovvero l’effettiva trasparenza del potere a Kiev. Nessun report ufficiale, nessuna inchiesta, ma è difficile poter giurare che una parte degli aiuti e delle armi fornite a Zelensky non abbia preso qualche altra cattiva strada, o che la tradizionale corruzione ucraina sia improvvisamente sparita, mentre qualcuno vorrebbe anche sapere qualcosa di più della situazione democratica del Paese dove l’opposizione è stata cancellata e le elezioni rinviate sine die. Un armistizio o, intanto, almeno un cessate il fuoco, porterebbe a Kiev fiumi di fondi per la ricostruzione, migliorerebbe la situazione della popolazione civile e fermerebbe l’emorragia di troppi caduti su entrambe le parti: è proprio vietato parlarne?

Ha senso, d’altronde, continuare a combattere dopo due anni su posizioni ormai di fatto cristallizzate? A chi conviene continuare così, se non ai produttori di armi? La pace bisogna volerla, a volte sacrificando anche una parte delle proprie legittime aspirazioni e legittimi diritti quando si capisce che può diventare vantaggiosa per tutti. Soprattutto bisognerebbe cominciare a non nascondere i segnali di pace, a non distruggerli o seppellirli con truculenti messaggi contro l’avversario. Perché alla fine – come ha sempre sostenuto Papa Francesco e tanti prima di lui – la guerra è sempre una sconfitta per tutti, anche chi sta dalla parte della ragione.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI