Il Financial Times dice che si stanno cercando di riallacciare i contatti (avviati e poi troncati dopo l’attacco ucraino a Kursk) per evitare di colpire le rispettive infrastrutture energetiche. Siamo ancora ai preliminari, ma se fosse vero (il portavoce del Cremlino Peskov ha smentito la notizia) vorrebbe dire che c’è almeno un canale attraverso il quale Russia e Ucraina si parlano. Una trattativa, spiega Marco Bertolini, generale della Brigata Folgore e comandante di numerose operazioni speciali in Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan, conviene a tutti, soprattutto all’Ucraina, Paese in cui le voci che chiedono di negoziare sono sempre di più. Anche perché ormai al fronte l’esercito si ritira davanti ai russi senza opporre particolare resistenza. Intanto l’Europa potrebbe aumentare a dismisura le sue spese militari, con conseguenze da valutare sulla sua situazione economica.
Russi e ucraini, anche se non ci sono conferme ufficiali, avrebbero ripreso i contatti per trattare sulla fine dei reciproci attacchi alle infrastrutture energetiche. Se fosse vero, cosa significherebbe? Vuol dire almeno che anche Kiev sta cominciando a dar fastidio a Mosca almeno da questo punto di vista?
Alla Russia non fa bene questa situazione, non è contenta della rottura che c’è stata con l’Europa; che sia disposta a cercare spazi di trattativa mi sembra ovvio. Anche gli ucraini fanno male alla Russia: hanno colpito depositi di munizioni e di carburante, raffinerie. Ma ritengo che si tratti di punture di spillo paragonate a quello che la Russia ha fatto inabilitando gran parte della rete elettrica ucraina.
Davanti a questi danni, Zelensky si è convinto a trattare?
Di fronte a tutto questo, anche Zelensky, che ha sempre negato una soluzione di compromesso, sta aprendo degli spiragli: uno lo ha aperto dicendo che inviterà la Russia a partecipare alla prossima conferenza di pace.
In Ucraina, intanto, si alzano altre voci che chiedono un negoziato: si stanno convincendo?
Zaluzhny, ora ambasciatore a Londra, nel Paese che è il vero direttore d’orchestra di questa guerra, il più bellicoso nei confronti della Russia, ha cominciato a dire che bisogna arrivare a una soluzione. Probabilmente ne ha in testa una sul modello delle due Coree, che non credo possa andare bene a Mosca, perché si cristallizza la situazione, lasciando aperta la possibilità di ricominciare a combattere fra qualche anno. Poi ci sono voci di parlamentari ucraini, anche di maggioranza, che non nascondono le loro osservazioni sulla condotta delle operazioni, fanno da megafono alle critiche che arrivano dal campo, dai fronti più interessati alle operazioni come Vuledar e Pokrosk, aree da cui sono state tratte le risorse per l’operazione a Kursk, che tuttavia ha mancato gli obiettivi.
Questi contatti sugli attacchi alle infrastrutture possono essere i prodromi di una vera trattativa di pace?
Sono l’apertura di uno spiraglio che finora non c’è mai stato, al punto che l’Ucraina ha messo nero su bianco in un decreto che non si può trattare con i russi. Uno spiraglio dovuto anche al momento particolare nel quale ci troviamo: per Zelensky sarebbe assurdo fare il duro e puro; se nelle presidenziali USA dovesse vincere Trump, la situazione potrebbe cambiare. In quel caso gli ucraini verrebbero spinti a trovare uno spazio di trattativa. Se si arriverà a negoziare la pace, non lo so; penso che sia impossibile, comunque, una soluzione che non preveda la neutralità dell’Ucraina: non sarebbe accettata da Mosca, anche alla luce dell’evoluzione della guerra in Medio Oriente, che preoccupa Putin.
Il portavoce del Cremlino Peskov, intanto, ha ribadito che per ottenere la pace Kiev dovrebbe cedere le aree che sono state annesse dalla Russia: Luhansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson. Zelensky può arrivare a tanto?
È una delle condizioni, ma quella principale è la neutralità dell’Ucraina; altrimenti l’accordo non sarebbe accettato da Mosca. Certo, se vincesse la Harris o se ci fosse un’evoluzione drammatica della guerra in Medio Oriente che coinvolgesse la Russia, Mosca potrebbe anche ripiegare su obiettivi inferiori, ma non lo credo.
Nel frattempo, Zelensky ha annunciato che vuole arruolare altri 160mila soldati. In realtà, al di là di possibili embrioni di trattativa, si pensa ancora molto seriamente a fare la guerra?
La grossa carenza ucraina è nel potenziale umano: non ha sufficienti uomini da mandare a combattere. Ha perso 10 milioni di abitanti perché sono scappati in Occidente o in Russia e c’è una resistenza notevole alla mobilitazione che Zelensky vorrebbe, tanto che si procede a arruolamenti forzati. Adesso c’è pure una pressione da parte occidentale perché si abbassi ai 18 anni l’età di chiamata alle armi. Russia e Ucraina, almeno all’inizio, hanno utilizzato essenzialmente professionisti; poi Kiev ha abbassato l’età ai 25 anni e adesso si pensa ai 18. Sarebbero come i nostri ragazzi del ‘99 nella Prima guerra mondiale. Inoltre, si sta pensando all’arruolamento delle donne. Anche in caso di trattativa, Zelensky deve far vedere che può combattere ancora a lungo.
L’ex presidente finlandese Sauli Niinisto, consulente della Commissione UE, ha stilato un report sulla difesa europea. Dice che non siamo preparati alle situazioni di crisi. È così?
Ormai c’è la tendenza consolidata a ripensare le parole d’ordine che hanno portato a disarmarci. Siamo da tempo nel mirino degli strali statunitensi; ancora prima della guerra, Trump si lamentava che i Paesi europei non facessero abbastanza per la difesa. Mi fa specie che l’ultimo arrivato nella NATO, la Finlandia, possa darci lezioni sull’apparato difensivo, ma non si può negare che i Paesi europei continuino a trascurare la difesa. Noi italiani abbiamo un esercito di 100mila uomini.
Sì, però la proposta di Niinisto è di dedicare il 20% del bilancio complessivo dell’Unione Europea alla sicurezza e alla preparazione alle situazioni di crisi. Non sta esagerando?
Mi sembra una cosa incredibile. Vorrebbe dire stravolgere completamente le nostre economie in un momento in cui abbiamo una crisi energetica dovuta all’aumento spropositato dei prezzi del gas, in cui, insomma, dobbiamo fare fronte a una grandissima crisi economica.
Sul campo, intanto, la guerra come procede?
Io vedo che le operazioni dei russi lungo la linea di contatto, soprattutto in corrispondenza del Donetsk, stanno andando avanti a grande velocità. Le grandi distruzioni che si notavano in precedenza quando certi abitati venivano occupati, ora non si vedono più, segno che i centri urbani vengono abbandonati quasi intatti dai combattenti ucraini: non c’è una grande resistenza. L’area di penetrazione delle forze di Kiev a Kursk si è quasi dimezzata rispetto alle prime fasi dell’operazione; si è ridotta di un terzo abbondante.
La pace, comunque, conviene a tutti e due?
Sì, anche la Russia ha avuto perdite e distruzioni importanti nelle province di confine e dovrà farsi carico di ricostruire i territori che ha conquistato; sarà uno sforzo notevole. La convenienza maggiore ce l’ha l’Ucraina; se ci fosse un crollo del fronte interno, i russi potrebbero arrivare a Dnepr o non molto distante. Poi c’è l’Occidente, che ha investito molto in questa guerra e si trova di fronte al rischio di essere smentito, per questo chiede agli ucraini di abbassare l’età dei coscritti e di resistere. Il fallimento maggiore è dovuto al fatto che si pensava di isolare la Russia e invece non è così: lo si è visto al summit dei BRICS a Kazan.
(Paolo Rossetti)
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