Un’altra data si è dunque aggiunta ai grani del terrore, in una serie che sembra non avere fine. Il 25 marzo sarà un giorno da ricordare assieme all’11 settembre, al 7 ottobre (ma questi se vogliamo sono “nostri” lugubri anniversari occidentali; mancano le centinaia di attentati nel resto del mondo, dalla Nigeria al Pakistan, all’Afghanistan, che per noi sono solo numeri). Ancora una volta la verità della guerra emerge nella sua essenza. Le guerre una volta cominciate non vanno mai nella direzione che i protagonisti avevano sperato. Si trasformano, cambiano gli scenari, entrano nuovi attori. Tanto più se, nel caso della Russia, lo Stato è un impero impegnato su molti fronti e su più continenti.
Dell’attentato al Crocus City Hall forse non sapremo mai niente. D’altronde noi italiani ne sappiamo qualcosa di “verità nascoste” a proposito di stragi, visto che ancora si discute non solo della strage di piazza Fontana, ma addirittura sui mandanti dell’uccisione, ottant’anni fa, di Giovanni Gentile il 15 aprile del ’44!
Eppure dobbiamo provare a mettere in ordine i pezzi della storia, che qualcosa ci dicono.
In primo luogo, a compiere l’assalto alla sala concerti è stato un commando che ha agito in modo militare perfetto, cioè in modo spietato, crudele e organizzato. Il gruppetto era composto da tagiki che sono poi fuggiti in auto e arrestati centinaia di chilometri lontani da Mosca – sulla stessa auto su cui erano scappati!– verso i confini occidentali della Russia, cioè verso l’Ucraina e la Bielorussia. Il commando ha registrato il massacro e l’ISIS lo ha diffuso e rivendicato.
Inoltre, ci sono da segnalare altri due fatti avvenuti sul suolo russo. Il 3 marzo le forze di sicurezza russe avevano eliminato sei sospetti islamisti in Inguscezia, nel Caucaso settentrionale, e il 7 marzo una cellula dell’ISIS nella provincia di Kaluga era stata scoperta. L’ISIS ha compiuto in Russia tra il 2015 e il 2019 ben 14 attentati, e jihadisti o appartenenti ad al Qaida o ad altre formazioni hanno attaccato i russi e il Wagner Group in Africa.
Questo il primo gruppo di informazioni fattuali.
Passiamo al secondo gruppo, più incerto, di dati. Gli arrestati hanno detto di essere stati arruolati sulla rete da un reclutatore per la cifra di 5mila euro (!) e che stavano andando in Ucraina a riscuotere altri soldi. Queste notizie sono state diffuse dagli investigatori russi e i volti mostrati alla televisione degli arrestati parlano chiaro dei metodi usati dagli inquirenti.
Molti osservatori hanno sollevato alcune perplessità che ci sembrano legittime.
1) Nessuno dei terroristi era così motivato da ricercare il martirio, 2) non si è mai vista nessuna banda scappare sulla stessa auto con cui ha colpito e guidare per centinaia di chilometri, senza invece rifugiarsi in una base sicura, cambiare auto e dividersi. 3) La remunerazione di 5mila euro sembra una mercede veramente troppo bassa anche per dei poveracci.
Ultimo dato, Putin ha accusato senza mezzi termini l’Ucraina, Washington e Londra di essere i mandanti di questa strage.
Questi sono i fatti. La domanda è sempre la stessa. Chi è stato a sparare? Chi sono gli esecutori e chi i mandanti?
Sul banco degli accusati vi sono l’ISIS, gli ucraini e i servizi USA e inglesi. Se non possiamo sapere chi è il colpevole, possiamo però perlomeno mettere in ordine gli elementi, le tessere del puzzle, oppure, ancora più modestamente, disegnare la cornice.
La Russia è un impero con una forte minoranza musulmana che non è trattata benissimo; adesso per esempio una gran parte dell’esercito di Mosca combattente in Ucraina proviene dalla periferia asiatica. Il Tagikistan, abitato da popolazioni di lingua persiana, adesso repubblica autonoma, ai tempi della rivoluzione bolscevica oppose una fiera resistenza al comunismo e infatti venne riconosciuta come repubblica autonoma solamente nel 1929. Non si dimentichi una guerra civile dopo la caduta del comunismo tra milizie tagike musulmane ed esercito con conseguente esodo di combattenti islamici verso l’Afghanistan, Paese dove vive nel nord una fortissima comunità: il 27% della popolazione afghana è infatti di etnia tagika.
La Russia – secondo dato – ha combattuto tre guerre terribili contro Stati e popolazioni musulmane sunnite. L’invasione dell’Afghanistan durata dal 1979 all’89 che segnò la fine dell’URSS; la prima e seconda guerra cecena (1994-96 e 1999-2009); la guerra dal 2015 a fianco di Assad in Siria contro l’ISIS.
Da questi conflitti sono derivate due conseguenze. La prima, una diffidenza della comunità musulmana sunnita contro la Russia, un odio viscerale profondo antirusso da parte dell’ISIS, che infatti ha celebrato con soddisfazione l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina visto come uno scontro interno all’Occidente cristiano, una guerra insomma tra “crociati”.
La seconda conseguenza su cui forse si è poco riflettuto è che allo scoppio della guerra russo-ucraina volontari e mercenari ceceni e musulmani sono andati a combattere tra le file ucraine. Così ceceni, islamisti di varia provenienza e tatari sono andati a formare i battaglioni “Dzhokhar Dudayev” e “Sheikh Mansur” e la divisione “Crimea”, ben contenti di affrontare gli odiati nemici ceceni fedeli a Ramzan Kadyrov e gli infedeli russi.
Da questo ultimo punto, traiamo una deduzione logica non fattuale. Solo gli ucraini conoscono le storie e la provenienza di questi soldati militanti, ma è del tutto plausibile che tra le loro fila ci siano estremisti islamici.
Altra considerazione. L’ISIS del Khorasan e in generale l’ISIS dopo la sconfitta dello Stato islamico non è finito, anzi sta mietendo successi in Africa, si sta rafforzando in Asia Centrale, colpisce in modo spietato in Afghanistan e cerca proseliti in Turchia. Il fine ultimo non è il radicalizzarsi in un territorio, non è la liberazione della Palestina, o la conquista del potere a Kabul, ma la ricostruzione del Califfato. È forte, ma non è un esercito né un’organizzazione centralizzata e gerarchica. I comandi periferici sono semi-autonomi, il reclutamento avviene anche sul web. Non desta nessuna meraviglia che siano possibili infiltrazioni, lotte intestine, ambigui connubi. E poi c’è la questione finanziamenti, perché per fare le guerre c’è bisogno di soldi, e tanti: da qui il contrabbando, lo spaccio, i traffici illeciti e quindi i contatti con le organizzazioni criminali internazionali. Parlare di infiltrazioni a questo punto è un eufemismo, perché nelle organizzazioni terroristiche è sbagliato ritenere che esista una differenza netta e manichea tra la purezza e la corruzione, tra militanti e criminalità.
Cambiamo fronte. Perché Putin accusa l’Ucraina, gli Stati Uniti e Londra? È plausibile tale accusa? È chiaro che se fosse vero sarebbe un fatto gravissimo per Kiev e per gli alleati. E qui iniziano i distinguo. Ideare, organizzare, non vedere o voltarsi dall’altra parte sono tutti atti diversi che implicano responsabilità diverse. Spieghiamoci meglio. Caso a) L’accusa a Kiev è platealmente falsa, non sono stati gli ucraini, non sono stati i servizi occidentali e nemmeno nessun terrorista arrestato ha rapporti con l’Ucraina. Caso b) L’ISIS ha organizzato in Ucraina una propria cellula o contatti o ha trovato un ambiente favorevole a Kiev; ma Kiev era all’oscuro di tutto e così i servizi degli Stati occidentali alleati. Caso c) Come sopra, con la variante che invece i servizi ucraini qualcosa sapevano e hanno lasciato fare e, ulteriore variante, hanno o non hanno informato i colleghi occidentali. Caso d) L’Ucraina è direttamente coinvolta ma non ha informato gli alleati oppure – variante – ha coinvolto i servizi amici. A questo punto per chiarire questi punti sarebbe necessario sapere la fonte, che non sapremo mai, delle informazioni americane. Come mai Washington sapeva qualcosa e perché ha avvertito Mosca?
Ultimo punto. Perché Putin accusa Zelensky e gli alleati occidentali di questo attentato senza aspettare i risultati di un’indagine? Si può azzardare una risposta che vada, al di là della propaganda, alla ricerca di un rafforzamento del consenso interno, di cui però l’uomo del Cremlino sembra non avere bisogno, alla luce del risultato elettorale plebiscitario; oppure l’accusa è dettata dalla necessità di non urtare troppo la popolazione russa musulmana, forte di 20 milioni di persone.
In tutte le ipotesi dette sopra, comunque, l’ISIS avrebbe svolto un ruolo centrale, di conseguenza lo Stato islamico dovrebbe essere il nemico mortale di Mosca più di Kiev e dei suoi alleati. Ne dovrebbe scaturire da parte di Putin una dichiarazione di guerra senza quartiere come fece con i ceceni dopo l’attentato a Mosca al teatro Dubrovka nel 2002. Invece accusando prima i nemici occidentali, toglie dal mirino l’ISIS, mandando un messaggio alla stessa organizzazione: non ce l’abbiamo con voi, possiamo se vogliamo allearci con i talebani in Afghanistan, con i cinesi, con tutti, perfino con gli americani pur di distruggervi, ma non siete voi il nostro nemico principale; adesso dobbiamo pensare all’Ucraina.
Queste sono solo considerazioni. Quello che è chiaro è che questa guerra sta diventando qualcosa di enorme, sta lievitando in modo minaccioso, con nuovi attori disposti ad entrare nel conflitto per guadagnare qualcosa, seguire i propri interessi, rendere il conflitto sempre più ingarbugliato.
E nessuno per ora sembra non solo interessato a fermare le armi, ma nemmeno a produrre una qualche idea decente su cui organizzare, per lo meno, un cessate il fuoco.
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