Droni ucraini, uno scontro sempre più intenso a Bakhmut, gli occidentali che hanno sempre meno materiale militare per rifornire Kiev. E uno scenario che potrebbe allargarsi, in ipotesi, anche alla Moldavia per mano ucraina. La situazione in Ucraina è sempre più complicata per un conflitto che, nonostante l’Occidente non voglia rendersene conto, è anche una guerra civile, con ucraini schierati su tutti e due i fronti. Con una via di uscita, come suggerisce Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa, quella già sperimentata nella ex Jugoslavia.
Cosa significano le azioni con i droni realizzate dentro il territorio russo? Gli ucraini tornano all’attacco?
Gli ucraini hanno già colpito in passato il territorio russo, in particolare le zone di confine, le regioni di Briansk e Belgorod, avevano colpito anche in profondità usando vecchi droni di produzione sovietica, i Tupolev 141 modificati, arrivando fino alle basi di bombardieri russi a Engels. Quello che c’è di nuovo è la progressione di questi attacchi utilizzando droni prodotti in Ucraina con la tecnologia fornita probabilmente da qualche altro Paese. Le azioni sono arrivate a colpire vicino a Mosca. Tempo fa aveva fatto scalpore che ci fossero batterie antiaeree russe posizionate dentro Mosca. I russi avevano da tempo la percezione che gli ucraini fossero in grado di condurre azioni, per ora simboliche perché vengono usati piccoli gruppi di droni o singoli droni, ma con un raggio d’azione che supera i 450-500 km. Gli ucraini stanno intensificando l’attacco al territorio russo e in questo caso hanno preso di mira un deposito di carburante di Rosneft.
Sul campo di battaglia si combatte ancora per Bakhmut. Perché è così importante questa località per gli ucraini?
Sul piano militare Bakhmut, insieme ad altre città come Soledar, costituiva la seconda linea difensiva delle forze ucraine nella provincia di Donetsk. Soledar è caduta e ora Bakhmut è circondata. I russi applicano questa tattica di circondare le roccaforti ucraine che sono quelle meglio difese: nel Donbass hanno avuto otto anni prima dell’inizio dell’offensiva russa per fortificare le loro posizioni. Le truppe russe, le milizie di Donetsk e la Wagner cercano di accerchiare la città per consentire due possibili sviluppi: uno è che gli ucraini si ritirino prima che si chiuda la sacca, l’altro che non si ritirino e allora l’accerchiamento si potrebbe completare. A quel punto diventerebbe una guerra d’assedio.
Quale prospettiva sembra prevalere?
L’ipotesi, anche in base alle dichiarazioni di Zelensky secondo il quale la situazione è sempre più difficile, è che gli ucraini si ritirino prima. Dopo di che si devono ritirare sull’ultima linea difensiva della regione di Donetsk che è quella che guarda a Kramatorsk, a Sloviansk.
Bakhmut è un po’ una città simbolo?
Uno degli obiettivi dei russi era di liberare le regioni del Donbass, Lugansk e Donetsk. La prima è tutta in mano ai russi. La difesa di queste aree per gli ucraini ha un significato, appunto, simbolico e politico. Da più parti negli ultimi mesi si è sottolineato che nel difendere ogni metro di terreno nel Donetsk gli ucraini hanno sacrificato, combattendo in posizioni svantaggiose, le loro migliori brigate. È una gestione politica degli obiettivi militari. Quando combatti con l’obiettivo di non perdere terreno, in condizioni svantaggiose, rischi di perdere comunque quel territorio e le truppe migliori che avevi sul campo, sacrificate in una battaglia di logoramento.
Gli americani avrebbero già fatto capire agli ucraini che gli aiuti non saranno infiniti. Già ora arriveranno meno carri armati rispetto a quelli promessi e i jet non arriveranno proprio. Qual è veramente la situazione?
La notizia che gli aiuti americani non saranno infiniti l’ha riportata la Reuters citando una fonte interna dell’amministrazione americana. Gli eserciti europei, che hanno forze pesanti, corazzate e artiglieria molto limitate, hanno già dato molto. Gli americani non intendono svuotare i loro arsenali con il rischio di dover combattere altrove: che questa guerra si allarghi non può essere escluso. Questa guerra consuma, usura, distrugge, logora, oltre a tante vite, anche moltissimo materiale militare: equipaggiamenti, artiglieria, mezzi corazzati. E soprattutto consuma tantissime munizioni, molte più di quanto si sia in grado di produrre in Occidente per alimentare l’Ucraina. Anche per questo i carri armati vengono forniti in numero ridotto. Gli eserciti europei ne hanno pochi. L’esempio più clamoroso è la Finlandia che ha 240 Leopard ma all’Ucraina ne dà tre.
Vuol dire che dall’Occidente verrà un invito pressante a trattare agli ucraini o che sono già in corso trattative per far finire la guerra?
C’è chi dice che a Ginevra si stia già discutendo. L’obiettivo occidentale della guerra, dichiarato dagli angloamericani, era di logorare la Russia. In realtà stiamo arrivando a un punto che il logoramento riguarda anche la capacità di aiutare Kiev dell’Occidente. Potrebbe esserci una svolta militare sul campo, non è escluso che i russi cerchino di dare una spallata. Ma bisogna vedere quali sono le reali capacità russe: avanzano e attaccano, occorre vedere se possono farlo in massa e se hanno abbastanza equipaggiamento, mezzi, munizioni.
Guardando i resoconti della battaglia di Bakhmut sembra che abbiano molti colpi di artiglieria da utilizzare.
In Occidente si sostiene da mesi che i russi stanno finendo missili e munizioni, sul campo di battaglia si è vista magari una riduzione in certi settori nell’impiego di artiglieria, però rimane sempre sufficiente ad alimentare l’offensiva. L’impressione è che se i russi non sprecano, gli ucraini ne hanno meno. La questione degli aerei poi è fuori luogo: trasferire in Ucraina aerei occidentali, addestrando i piloti, i tecnici, creando le infrastrutture logistiche richiederà anni. In un futuro post-bellico l’Ucraina avrà equipaggiamenti standard Nato e non più quelli di tipo russo e sovietico impiegati finora. Infatti americani e britannici invece di fornire equipaggiamenti occidentali cercano di reperire equipaggiamenti di tipo russo e sovietico agli ucraini, che già li sanno usare.
Il conflitto può allargarsi alla Moldavia?
La Moldavia e la Transnistria per ora sono solo un terreno di scontro politico e propagandistico. I russi possono attaccare la Moldavia solo dalla Transnistria, dove hanno 1500 soldati, che non sono attrezzati per condurre azioni offensive. La Moldavia è in un momento di grossa difficoltà: ha un governo allineato con la Nato e con la Ue, ma ha anche un’opposizione e una larga parte dell’opinione pubblica contraria perché la rottura con la Russia ha conseguenze drammatiche per l’economia moldava.
Quindi cosa può accadere?
Lì può accadere una guerra solo se gli ucraini decidessero di occupare la Transnistria. È una regione che può avere importanza non solo politica perché lì c’è il più grande deposito di armi e munizioni di tipo sovietico d’Europa. Gli ucraini sono a corto di munizioni, l’occupazione, che dovrebbe essere abbastanza agevole, permetterebbe loro di mettere le mani su consistenti lotti di armi e munizioni. Per adesso queste, comunque, sono solo ipotesi.
C’è una lettura del conflitto che l’Occidente non vuole prendere in considerazione: quella in Ucraina può essere letta come guerra civile?
Zelensky ha messo fuori legge dodici partiti di opposizione, c’è di fatto una fetta della popolazione ostile al Governo di Kiev. Il Paese che ospita più profughi ucraini è la Russia. Gli ucraini dicono che li hanno tutti deportati, ma è difficile pensare che sia così. In zone dell’Ucraina orientale si registra un gradimento della popolazione nei confronti di Mosca. Poi sono almeno 80mila gli ucraini che combattono negli eserciti delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, o come volontari arruolati a Zaporizhzhia, nella regione di Kerson, combattendo a fianco dei russi. Quindi questa è una guerra civile. Noi europei ci siamo occupati di guerre civili con la dissoluzione della ex Jugoslavia e la soluzione trovata era stata la divisione territoriale, aree della stessa regione in cui c’erano bosniaci, serbi, croati, kosovari. Questo ci dà i margini per ipotizzare una trattativa.
(Paolo Rossetti)
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