Una guerra è una tragedia umana, le morti di civili innocenti, degli inermi, il sacrificio dei soldati, cioè della gioventù, il futuro di un Paese, la distruzione materiale, le macerie di case, i ponti crollati, le industrie a pezzi, i campi bruciati sono terribili. Insopportabili. Ma anche le mostruosità sono fatti, dati sociali che noi uomini abbiamo imparato dalla notte dei tempi a interpretare. Avviene così anche per la guerra in corso tra la Russia e l’Ucraina.



Notizie diverse giungono dal fronte dei combattimenti. Il quadro è confuso, per effetto, in gergo, della “nebbia della guerra”. Le condoglianze oltre alle parole di circostanza di Putin per la scomparsa di Elisabetta, nei confronti cioè della regina del nemico storico della Russia. Vi è la controffensiva ucraina, preannunciata con largo anticipo, con una modalità strana a cui si aggiungono le dichiarazioni sempre da parte di Kiev sulla mancanza di carri armati, artiglieria pesante e aviazione che limitano di molto gli effetti dell’attacco. Fatti che lasciano perplessi.



E poi la preoccupazione nucleare, con l’ispezione dell’Aiea alla centrale nucleare di Zaporizhzhia in mano russa con il reciproco scambio di accuse tra le parti sulle responsabilità di eventuali incidenti. Ancora, la notizia delle forniture militari a Mosca da parte della Corea del Nord e di droni dall’Iran, in un rinnovato “asse del male” e il tributo di sangue che il popolo russo sta pagando, secondo un portavoce delle forze armate ucraine, ben 50mila soldati morti. E prima, i generali licenziati per incapacità, l’eliminazione di alcuni oligarchi, l’attentato in cui ha perso la vita la figlia di Aleksandr Dugin.



Ma la fotografia dello scontro militare sarebbe parziale se non fosse accompagnata da quanto avviene nel campo occidentale con le preoccupazioni della crisi economica, il rischio recessione, le bollette del gas alle stelle con il pericolo di far saltare per aria intere economie e sistemi industriali nazionali. Non stupisce allora la paura montante nelle capitali europee, a riprova l’imponente manifestazione a Praga di 70mila cittadini riuniti per protestare contro la guerra.

Come dunque interpretare questo caos? Sforzo necessario per orientarsi nel marasma delle notizie, vere, presunte e false, e al di là della propaganda.

Tre sono le analogie storiche, gli schemi più usati per afferrare la realtà da parte occidentale. La prima, definiamola “offensiva” per comodità, ripresa sulla scorta della Seconda guerra mondiale. “Non dobbiamo ripetere l’errore compiuto con Hitler, lasciandogli campo libero a partire dall’annessione della Saar nel 1935 mentre gli alleati sono intervenuti solo nel 1939 all’ultimo minuto a difesa della Polonia. Non ripetiamo l’errore dell’allora primo ministro inglese Neville Chamberlain e la sua politica dell’appeasement. Già a Putin abbiamo permesso nel 2014 l’annessione della Crimea, ora è troppo. Se non lo fermiamo, dopo l’Ucraina seguiranno altre aggressioni. Cioè, Kiev è la prima vittima, a seguire arriveranno Moldavia, Paesi baltici e tutti i territori una volta di Mosca”. Da qui l’equazione: Putin vuole ricostruire l’impero sovietico come Hitler voleva la Großdeutschland. Per la propaganda, Putin è il nuovo Hitler.

La seconda metafora, definiamola sempre per comodità “difensiva pacifista”, guarda alla Prima guerra mondiale e dice pressapoco così. “Attenzione all’escalation, ricordatevi di come scoppiò la Grande guerra, nessuna cancelleria voleva l’immane tragedia, eppure come sonnambuli – dal titolo del libro dello storico Christopher Clark –, i governi europei si incamminarono verso la catastrofe, mossi da uno sparo nei Balcani. E questa volta sarebbe peggio, perché la Russia dispone di armi nucleari”. Rischio sempre sbandierato non a caso dal Cremlino per spaventare gli avversari.

Le ultime lenti per guardare la realtà del conflitto attuale ci provengono dalla Guerra di Corea. Molte le analogie. Oggi come allora, si assiste ad un avvicinamento russo-cinese. Se nel febbraio 1950 alla vigilia dell’attacco fu firmato il trattato di amicizia sino-sovietico, oggi il 24 febbraio 2022 si ha la dichiarazione congiunta russo-cinese e come allora l’aggressore vende all’alleato una vittoria presunta facile. A quei tempi furono i coreani a convincere Pechino a intervenire, oggi Putin ha sostituito Kim Il-sung. E le cose finirono con un conflitto che produsse però effetti duraturi. Con l’attacco della Corea del Nord nel giugno 1950, supportata dai cinesi, l’Alleanza Atlantica si organizzò, si fornì di un comando unico, allargò i suoi confini a sud con l’entrata di Grecia e Turchia, rafforzò il fronte europeo con la Germania Ovest mentre gli Stati Uniti costituirono alleanze bilaterali con Giappone, Australia e Nuova Zelanda.

Anche adesso l’intervento russo ha prodotto il rafforzamento della Nato, il suo allargamento a Svezia e Finlandia, la svolta epocale del riarmo tedesco e la definizione del Nuovo concetto strategico della Nato al summit di Madrid nel giugno di quest’anno, concetto ben più agguerrito.

Allora la Cina, sull’onda della vittoria rivoluzionaria, e l’Unione Sovietica, quest’ultima forte della costruzione della sua prima bomba atomica nell’agosto 1949, sbagliarono strategia. Sia l’invasione della Corea che il blocco di Berlino produssero l’effetto contrario e invece di indebolire gli Usa e la Nato, li rafforzarono.

Anche allora Repubblica Popolare Cinese e Unione Sovietica provarono ad aggirare il fronte occidentale, aiutando il movimento dei non allineati nato con la Conferenza di Bandung nel 1955. E oggi ecco la diplomazia russa muoversi in Medio ed Estremo Oriente, in Africa e Sudamerica e la Cina tessere la sua rete economico-commerciale nel mondo.

Se l’aiuto cinese a Kim Il-sung costò la vita a ben 200mila soldati cinesi, quella guerra non era però, come credeva il generale MacArthur, l’inizio della terza guerra mondiale, e che per questo voleva usare le armi nucleari, né fu combattuta fino alla liberazione di tutta la Corea. Alla fine, con le forze in campo esauste, si arrivò ad un cessate il fuoco, ad un armistizio non riconosciuto dalle due Coree, che lasciò le cose come prima del conflitto. Anche quella guerra, come questa, non era una guerra totale, ma limitata negli scopi e nei mezzi.

Se le cose andassero in modo simile – ma la storia non si ripete –, vuol dire che ad un certo punto, magari tra anni, la guerra tra Russia e Ucraina si fermerà con un cessate il fuoco temporaneo ma destinato a durare nel tempo senza vincitori né vinti. Vorrà dire che parte dell’Ucraina rimarrà in mano russa, con nuovi confini che né la comunità internazionale né Kiev potranno riconoscere. Lo stato conflittuale, come in Corea, continuerà tra Russia e Ucraina, tra Occidente e Russia per molti anni. D’altronde il disgelo tra cinesi e Stati Uniti arrivò solo nel 1972.

Diverso è il discorso per quanto può succedere nel campo interno dei due contendenti, ma qui il discorso si complica. A titolo di esempio, considerando solo la Russia e la sua specificità, se per caso lo stallo ucraino fosse percepito dal sistema di potere a Mosca come una sconfitta, il Paese andrebbe incontro ad una grave crisi, preludio di un cambiamento epocale come è stato sempre nella sua storia. Si veda la sconfitta nel 1905 ad opera del Giappone, che aprì la strada alla rivoluzione sempre del 1905, a quanto avvenne nella Prima guerra mondiale, quando il crollo dell’esercito significò la rivoluzione bolscevica, e in epoca più recente, la guerra in Afghanistan che segnò la fine dell’Urss.

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