Come diversi commentatori hanno sin qui messo in luce, nell’attuale conflitto russo-ucraino, oltre al vero e proprio campo di battaglia, una delle strategie principali utilizzate da ambedue le parti è quella della guerra ibrida. Tale concetto si basa principalmente sulla capacità di colpire oggetti e processi distanti attraverso mezzi militari non tradizionali, in particolare quelli critici per le funzioni statuali e militari. Come approccio asimmetrico, la guerra ibrida cerca di ottenere conseguenze su larga scala utilizzando mezzi apparentemente modesti, come inibire le operazioni militari di un avversario o impedire il sostegno politico popolare.
Si tratta di un concetto molto ampio entro cui possono ricadere la relativamente nuova cyber warfare, la tradizionale information war (già chiamata a suo tempo, propaganda) e la neonata guerra informativa basata sulle fonti aperte (Open Source Information War, OSIW). Prima di arrivare a quest’ultimo aspetto vale la pena ripercorrere brevemente come si è arrivati a essa.
In generale, i conflitti ibridi utilizzano le cosiddette azioni di soft power impiegando una strategia più olistica e flessibile, mediante la quale si può anche variare l’intensità nelle diverse fasi del conflitto cercando di destabilizzare i processi interni ed esterni di uno Stato. Un obiettivo generale ricercato con queste azioni è, difatti, quello di disarticolare le funzioni vitali dello Stato preso di mira, incoraggiando la destabilizzazione dell’economia, la frustrazione e la disaffezione della popolazione, l’esasperazione delle differenze su base etnica, religiosa, sociodemografica e culturale delle popolazioni aggredite, la creazione di condizioni socioeconomiche che incoraggiano la migrazione incontrollata, la soppressione della resistenza civile, la compromissione delle infrastrutture critiche.
Tutto ciò è chiaramente collegato alla creazione dell’infosfera digitale e all’utilizzo delle nuove tecnologie le quali permettono una maggiore penetrazione di azioni asimmetriche in elementi critici dei sistemi vitali dell’avversario. La pressione e la successiva compromissione di questi punti critici possono portare a un cambiamento sistemico a cascata, sinergico e distruttivo, in termini di violazioni dei sistemi correlati. In generale, dunque, la guerra ibrida ha come obiettivo esplicito – più che le vulnerabilità informatiche critiche nell’hardware e software (Cyber Threat Intelligence) sulle quali può comunque far leva come punto di attacco iniziale – sistemi vitali quali le comunicazioni, le infrastrutture, i mass media e i social networks, i trasporti, le materie prime, la supply chain agroalimentare, il sistema sanitario.
Sempre più spesso, difatti, gli attori statuali attaccano i punti vulnerabili delle informazioni dell’infosfera digitale quali la diffusione di posizioni ideologiche (no vax, gender culture, wokism, cancel culture), il livello della percezione pubblica della corruzione degli attori governativi, l’attacco diretto e indiretto alle istituzioni, la propalazione di fake news, la messa in discussione di provvedimenti legislativi. In questo senso, si parla di information war e di psycological operations (PSYOPS) vale a dire della classica propaganda politica ingegnerizzata e mimetizzata sotto nuove forme, in primis tecnologiche.
Oggigiorno, ciò che rappresenta un fattore inedito rispetto alle campagne di disinformazione del passato è, per l’appunto, la creazione di nuovi artefatti tecnologici e relative tecniche le quali permettono di raggiungere obiettivi strategici con effetti cognitivi e non convenzionali (tecnologie di influenza psicosociale e manipolazione basata sui bias cognitivi, attacchi cyber, armi di disinformazione di massa e di precisione in base al profilamento degli utenti dei social networks, possibilità di danni significativi ai sistemi di controllo informazionale di uno Stato.). Questi nuovi artefatti tecnologici che rispondono al nome di Telegram, Instagram, WhatsApp e TikTok, solo per citane alcuni, rendono possibile, a un attore malevole nation-state, di influenzare a distanza gli spazi informazionali di un altro Stato.
In questo senso, la guerra ibrida è un conflitto con un’alta componente tecnologica e competenze interdisciplinari di tipo olistico. A questo riguardo, basti considerare il recente documento, della fine dello scorso anno, delle Forze armate francesi “Doctrine de lutte informatique d’influence (L2I)” per avere contezza dello stato di consapevolezza e di utilizzo di tali tecniche e azioni di soft power da parte di molteplici Stati contemporanei.
Intesa in questo senso, si comprende appieno come la guerra attuale sia stata in grado di “occupare” tutti gli aspetti della vita sociale e di quanto essa sia multidimensionale e multifattoriale, mediante l’impiego dell’intelligence incentrata su fonti aperte (OSINT). Gli smartphone, dotati di un’ampia gamma di funzionalità, dislocati in tutta l’Ucraina, hanno fornito informazioni tattiche dirette su come la guerra è stata e viene perseguita. Tramite l’OSINT è stato possibile venire a conoscenza diretta dei movimenti di truppe così come della situazione nei centri urbani e nelle altre zone del Paese ucraino, con un dettaglio davvero granulare. Le immagini satellitari hanno mostrato i luoghi e le mappe degli schieramenti sul campo di battaglia così come gli ospedali bombardati. La piattaforma di microblogging Twitter ha veicolato non solo immagini ma anche dichiarazioni continue da parte di cyber gruppi come gli attivisti di Anonymous; Twitter è divenuta, inoltre, anche il luogo di raduno virtuale di analisti open source altamente qualificati.
Altri gruppi, ad esempio, la “IT Army”, formatosi a seguito della chiamata all’azione da parte del ministro ucraino per la Trasformazione digitale Mykhaylo Fedorov, il 26 febbraio, ha postato messaggi quotidiani su Telegram su quali siti russi attaccare, a partire dall’indicazione iniziale di 31 siti commerciali e statuali verso cui sono stati lanciati i primi vettori di attacco cibernetico e DDoS (Distributed Denial of Service, ovvero inondando il traffico dei dati in entrata su questi siti). Sempre su Telegram, la ONG “Come Back Alive” ha fornito un resoconto dettagliato della propria attività di crowfunding, ovvero su come vengono smistate, tra le forze armate ucraine, gli aiuti ricevuti (droni, termocamere per condurre operazioni di ricognizione e di attacchi notturni, giubbotti antiproiettile). Un’altra ONG, Bellingcat, facendo uso di sofisticati strumenti tecnologici è riuscita a invalidare la narrativa informazionale russa di presunte “atrocità” commesse dagli ucraini, tesa a fornire un pretesto per l’invasione. E si potrebbero elencare molte altre situazioni al riguardo che, nondimeno, non vengono qui riportate solo per ragioni di spazio.
In conclusione, si può sostenere che l’attuale sia la prima guerra in cui l’OSINT sembra rappresentare l’elemento precipuo su cui si basa la più complessiva e generale guerra ibrida e informazionale. In questo senso, la tradizionale propaganda si è senz’altro fusa con l’utilizzo delle ultime tecnologie digitali. In questo campo di battaglia informazionale così definito, la Federazione Russa, messa sulla costante difensiva, non ha potuto che far uso solo di una guerra ibrida perseguente più obiettivi di mantenimento e stabilizzazione del proprio spazio informativo interno – scosso da continue manifestazioni di proteste e di crescente disaffezione verso la guerra – piuttosto che proporsi come efficace contrattacco all’Ucraina e ai Paesi occidentali. Lo stesso cyber warfare offensivo appare essere stato, almeno finora, non pienamente utilizzabile. La ragione principale, tuttavia, a parere dello scrivente, è che la Federazione Russa non può giocare le carte dell’attrattività di un modello politico, religioso, sociale e culturale capace di tener testa a quello occidentale, pur con tutti i limiti e le debolezze di quest’ultimo. Ed è questo il maggior aspetto da evidenziare della guerra attuale, dal punto di vista strategico e politico.
E ciò costituisce anche la principale lezione che da essa si può oggigiorno trarre, vale a dire che questo conflitto, che si spera possa terminare al più presto per l’orrida distruzione quotidiana, per la brutalità del campo di battaglia e per la mattanza di vite umane che sta comportando, possa essere di monito anche ad altri attori statuali i quali, in altri quadranti geostrategici, continuano a far uso di una postura sempre più minacciosa nei confronti dei loro vicini più prossimi.
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