Esce allo scoperto il “terzo uomo” dell’Hotel Metropol, nell’ambito dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega: è Francesco Vannucci. Dmitri Peskov, portavoce di Putin, nega che il Cremlino possa avere dato fondi al partito di Salvini come ad altri politici o partiti italiani. La procura di Milano delude le attese di M5s e Pd, dicendo che l’audizione del ministro dell’Interno non è necessaria. Sono le novità di ieri sul fronte del Russiagate, che continua a tenere sulla corda tutta la politica italiana. Giulio Sapelli, economista, invita però ad allargare la prospettiva.



Professore, cosa pensa dell’inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega?

Va collegata a molte cose. In primo luogo a quello che è successo in Austria, dove il giochetto è servito a liquidare una maggioranza di governo sgradita all’Ue: un patto inedito tra un partito aderente al Ppe e un partito di destra, candidato a trasformarsi e ad assumere maggiore responsabilità politica. 



Continui.

Il caso Metropol è esploso dopo che la sindaca di Parigi ha concesso la massima onorificenza della città, la Medaglia Grand Vermeil, alla capitana Rackete. C’è un concerto internazionale – e nazionale – per far fare a Salvini la fine di Craxi. Ovviamente i francesi sono in prima fila.

E in Italia?

La7, di proprietà di un imprenditore che aspira ad entrare in politica e a fare il capo del governo, ha appena fatto uno speciale su Tangentopoli dove Di Pietro, Colombo e soprattutto Davigo hanno dato la linea politica.

Chi è stato secondo lei a raccogliere la registrazione al Metropol?



Non sono stati gli Usa. Mi pare piuttosto il tipico gioco della disinformacija russa: dare a tutti i cani un piccolo bocconcino, in modo che girando qua e là, li diffondano. Ezio Mauro sente “l’odore del sangue dell’animale ferito”. È quello che scrivevano i fascisti quando parlavano degli inglesi o degli ebrei.

Le procure sono sempre al lavoro. Differenze tra ieri e oggi?

Nel ’92-94 si trattò di un di un grande disegno internazionale con a capo la centrale del mercatismo mondiale che era Londra. Adesso la disgregazione dello Stato italiano ha colpito anche la magistratura, come si vede dalla crisi del Csm.

Questo cosa comporta?

Una lotta senza esclusione di colpi. Anche il grande capitalismo finanziario, che aveva le sue cuspidi nelle grandi logge scozzesi, adesso è diviso: tutti fanno quello che vogliono, dalle massonerie francesi a quelle tedesche. L’Ue sta implodendo, tutto è molto più complicato da gestire anche per loro.

Ci vuole dire con più precisione chi o che cosa si tratta di gestire?

Il problema è che certi gruppi puoi farli salire, agevolandone la presa del potere, ma poi le persone fanno quello che vogliono.

Si riferisce ai 5 Stelle?

Certo. Alcuni sono manovrabili, altri no e questo crea grandi problemi. Anche se sono stati scelti con cura per il loro compito.

Qual era?

Continuare il lavoro di Monti. L’esempio più chiaro è sotto gli occhi di tutti: l’accanimento sull’Ilva. Indebolire la seconda potenza industriale europea, già fiaccata dalle privatizzazioni modello Eltsin-Menem-Prodi, fa gola a molti. Non ci vuole un genio per capirlo.

Di quale modello parliamo?

Delle privatizzazioni che hanno distrutto i grandi gruppi statali attraverso gli spezzatini finanziari. Eltsin distrusse il patrimonio russo dandone una parte al notabilato vecchio e nuovo, una parte all’ex burocrazia comunista e un’altra parte ai grandi investitori stranieri. Ha fatto scuola.

E l’Ilva?

Siamo arrivati al colpo finale: se chiudono l’Ilva, i 5 Stelle hanno assolto il loro compito.

A quel punto?

A quel punto M5s non serve più. All’Italia invece serve la Lega. Ma qui Salvini paga il suo più grande errore: invece di corteggiare Orbán, avrebbe dovuto dare battaglia al Fiscal Compact dall’interno del Ppe.

Adesso cosa può fare Salvini?

Per prima cosa deve andare in Parlamento a riferire sulla vicenda. Poi deve fare bene il ministro dell’Interno: in parte lo sta facendo, dando allo Stato il compito di regolare le migrazioni sottraendole al mercato. Farebbe ancora meglio se di tanto in tanto concedesse di più alla misericordia. Però non basta. La Lega deve elaborare in modo più compiuto una politica economica non ordoliberista e approfondire la sua fisionomia di partito dei produttori.

L’incontro con le sigle sindacali e datoriali che tanto ha indispettito Conte e Di Maio non va in questa direzione?

Non lo avrei fatto al Viminale, piuttosto in una sede della Lega. Non è stato ciò che poteva essere: una grande assemblea di profilo più alto, dei veri e propri Stati generali della produzione. Per concepire una cosa del genere però occorre sostituire i social con la politica.

Sta rimproverando a Salvini, il più scaltro animale politico italiano, un deficit di politica. Ci spieghi meglio.

Solo se rappresenta veramente la borghesia nazionale, l’industria, le Pmi la Lega può rafforzare i suoi legami con gli Usa, evitando di cadere nelle braccia dell’imperialismo cinese e salvando così il paese.

Quello che è successo al Metropol va attribuito alla superficialità o a una trappola?

Le trappole per funzionare hanno bisogno della leggerezza delle loro vittime. Se vuoi guidare il paese devi avere la consapevolezza che vogliono eliminarti, proprio come un toro alla corrida.

Secondo lei fa bene o no la Lega ad intrattenere rapporti così stretti come sembra con la Russia?

La domanda è mal posta. Salvini ha ragione a dire che le sanzioni alla Russia sono sbagliate. Anzi: questo è perfettamente in linea con la vecchia politica estera italiana. La Dc, da posizioni atlantiste, ha sempre parlato con Mosca. Oggi la Russia ha rispolverato la teoria di Primakov, maestro di Lavrov: il ritorno nei mari caldi. Mosca vuole giocare un ruolo euroasiatico di primo piano. Salvini lo ha capito, ma serve una politica estera.

In concreto che cosa significa?

Il vassallo ha un suo ruolo: può fare cose che non può fare l’imperatore. Gli Usa non possono avere un rapporto scoperto e destabilizzante con la Russia di Putin, ma è evidentemente interesse dell’America tirare la Russia dalla propria parte contro la Cina. L’Italia deve elaborare e difendere il proprio “interesse prevalente”, come avrebbe detto Dino Grandi. Facendo in modo intelligente da ponte, e combattendo isterismi e ideologie.

Quali ideologie?

Quella della vecchia classe politica obamian-clintoniana, che ancora comanda negli Stati Uniti e si ostina a vedere nella Russia il male assoluto, e le sue filiazioni politico-mediatiche in Italia e in Europa.

Le risulta che l’Eni possa servirsi di mediatori come quelli che c’erano al Metropol di Mosca?

Non scherziamo. L’Eni conosce l’interesse italiano prevalente e lo difende. È ministerialista per definizione. Come tutte le nostre grandi imprese, conduce trattative con tutti i governi, ma non nelle hall degli alberghi. Come si possono fare illazioni così?

Le cronache del Russiagate ci parlano anche di Ernesto Ferlenghi. Lo conosce?

È un dirigente dell’Eni che lavora in Russia. Quelle che lo riguardano sono illazioni che vanno di pari passo con gli attacchi concentrici che vengono sistematicamente condotti contro l’Eni.

Come nel caso della Nigeria.

Sotto la direzione buona e saggia di Descalzi, l’Eni ha deciso di concentrare il suo peso in Africa. In Africa i maggiori stati europei fanno la politica di potenza che non possono fare in Europa. In Africa imperversa la Cina. Del resto l’assassinio di Mattei è stato profetico. Non sono stati gli americani ad eliminarlo, ma i fascisti francesi dell’Oas (Organisation de l’Armée Secrète, ndr), nello stesso mese in cui hanno attentato a De Gaulle. Per il ruolo meritorio che l’Eni aveva svolto in Algeria nella liberazione del popolo algerino.

Che ruolo ha la Francia adesso?

Persegue i propri interessi. Non dobbiamo stupirci, perché ogni paese lo fa, Russia compresa: solo i radical-chic italiani pensano che gli Stati non debbano fare più i propri interessi, che questi possano essere delegati all’Europa tecnocratica e che non esista più la patria. Prima capiamo che abbiamo degli interessi da difendere, meglio è.

Il governo è spacciato?

Non credo. Penso che gli Usa vogliano ancora che una delle poche “provincie ribelli” contro il dominio franco-tedesco sull’Unione Europea continui ad esistere e funzionare. I ribelli partono scamiciati, indossano felpe, ma devono trasformarsi in politici, ancor meglio se riformisti. Altrimenti faremo la fine di Portogallo e Grecia.

(Federico Ferraù)