Il premier olandese Mark Rutte sembra vicinissimo alla designazione a segretario generale della Nato. Secondo voci insistenti l’incarico verrebbe ufficializzato al vertice dell’Alleanza di inizio luglio a Washington, a celebrare anche i 75 anni del Patto Atlantico.

Rutte succederebbe a Jens Stoltenberg, ex premier norvegese in carica dal 2014: gli ultimi due in proroga, fortemente voluta dagli Usa per presidiare la Nato nei mesi cruciali dell’inizio della crisi russo-ucraina. Su questo versante, la candidatura Rutte presenta il suo profilo più marcato: dopo Stoltenberg, al quartier generale dell’Allenza a Bruxelles – poco lontano dalla sede della Ue – arriverebbe un europeo doc. Un premier di grande esperienza (quattro volte alla guida dei Paesi Bassi negli ultimi 14 anni) proveniente da un Paese fondatore della Comunità europea: all’opposto quindi di Stoltenberg (Oslo non ha mai fatto parte della Ue).



Se – come affermano i rumors – il presidente Usa Joe Biden ha dato il suo benestare a Rutte, il passo è molto leggibile: la Ue dev’essere molto più coinvolta di oggi e degli ultimi anni nella ricostruzione della Nato. E deve avere al suo vertice un leader credibile. Non lo era Stoltenberg, ex premier di un Paese che dalla crisi geopolitica ha avuto enormi benefici finanziari per la vendita di gas e petrolio ai vicini europei nel regime di sanzioni alla Russia. Non lo sarebbero stati uomini di Stato dei Paesi baltici (soprattutto la premier estone Kaja Kallas), membri troppo piccoli e troppo giovani della Ue, per quanto granitici nella loro volontà di resistere alle nuove pressioni ostili provenienti da Est.



Il compito di Rutte si annuncia comunque di grande impegno, che diventerebbe estremo se il prossimo novembre alla Casa Bianca tornasse Donald Trump, di cui è nota la volontà di ridurre – quanto meno – gli oneri finanziari Nato che tuttora gravano in misura maggioritaria sul contribuente statunitense (la scelta di Biden va letta anche in questa prospettiva). A due anni esatti dall’invasione russa dell’Ucraina, Washington e Bruxelles cercano un salto di qualità strategico nella spesa militare, per costruire un vero e proprio sistema europeo di difesa, integrato con Usa e Gran Bretagna e in via di raccordo – in Asia – con Australia, Giappone e Corea del Sud.



Rutte – un veterano dei palazzi di Bruxelles con fama di rigorista finanziario – avrà un evidente ruolo politico nel riorientamento delle strategie Ue (NextGeneration e poi Recovery Plan) verso la spesa militare. Come liberaldemocratico, il futuro segretario generale Nato è vicino al presidente francese Emmanuel Macron, ma non distante da Ursula von der Leyen, candidata a un secondo mandato come presidente della Commissione, come “candidato di punta” del Ppe. Rutte è ancora formalmente premier facente funzioni all’Aja: dove a tre mesi dalle elezioni anticipate non si è ancora ri-formata una maggioranza dopo la clamorosa vittoria della destra di Geert Wilders. Che tuttavia ha colpito principalmente il socialdemocratico Frans Timmermans, storico avversario di Rutte, rientrato appositamente da Bruxelles per sfidare soprattutto una crescente reazione anti-ecologista.

In era pre-Covid Rutte era uno dei volti dell’Europa “frugale” e tedesco-centrica sempre pronta a polemizzare con l’Italia dai deboli fondamentali economico-finanziari. Ma proprio la lunga rincorsa al vertice Nato – oltre alla ricomposizione degli equilibri Ue con la crisi geopolitica – hanno reso più flessibile il profilo dello statista olandese: che ha subito curato il rapporto con la premier italiana Giorgia Meloni, potendo contare già su una relazione consolidata con Mario Draghi.

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