È guerra tra il ministro Urso e la compagnia aerea low cost Ryanair, dopo il decreto del Governo che vuole limitare l’aumento dei prezzi dei voli, intervenendo sugli algoritmi usati dalle compagnie. Eddy Wilson, Amministratore delegato della compagnia irlandese, che certo dovrebbe essere uno degli ultimi a lamentarsi del nostro Paese, dal momento che l’azienda che dirige, negli ultimi venti anni, è stata sommersa da un mare di sovvenzioni locali, per poter garantire i collegamenti interni tra il resto d’Europa e alcune regioni nostrane, è stato invece durissimo contro il Governo. “In tutta onestà nemmeno Harry Potter sarebbe in grado di decifrare questo decreto”, sono state le parole nette con cui si è sfogato con diversi media tra cui Il Corriere della Sera. Wilson ha annunciato ricorso contro le misure prese dal Consiglio dei ministri, dicendosi convinto che “l’Europa boccerà questa norma perché è anti-concorrenziale, va palesemente contro ogni regola di funzionamento del mercato e persino contro il buonsenso”.
Attualmente nel nostro Paese la compagnia irlandese detiene quasi il 35% del mercato nazionale e internazionale, e oltre il 44% di quello interno, il doppio di ITA Airways. Parlare di assalto alla libera concorrenza da pare dell’Amministratore delegato di Ryanair appare in un quadro del genere forse un pochino azzardato. “Le misure adottate riguardano la tutela degli utenti in relazione ai collegamenti aerei con le Isole – si legge in un comunicato del ministero delle imprese e del Made in Italy- dove non esistono alternative di mercato, o in presenza di eventi catastrofali, ed è giustificato dagli interventi delle autorità di controllo e di garanzia. Nel dicembre scorso è stata infatti l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a puntare i riflettori sui picchi di oltre il 700% riscontrati nei verso Catania e Palermo a ridosso delle festività natalizie”.
Insomma, l’intervento del ministero guidato da Urso sembra proprio cercare di andare verso un aggiustamento di quella che appare una situazione creata da una sorta di cartello, almeno per determinate particolari tratte, altro che libera concorrenza. Ma Wilson ha risposto con quello che è apparso come un vero e proprio inaccettabile ricatto, minacciando la riduzione dei voli da e per le isole, a fronte del quale il ministro Urso non ha arretrato di un metro. “Wilson faccia quel che crede – ha detto il ministro due giorni fa-. L’Italia è il primo mercato della compagnia, il più appetibile d’Europa. Se taglieranno rotte, le riempirà qualcun altro. Mi chiedo solo se gli azionisti di Ryanair sono della stessa opinione”.
Urso è convinto, e certo con qualche ragione, che Ryanair in questi anni sul mercato italiano abbia fatto “quel che ha voluto” e che ora l’aria “deve cambiare”. Il sistema del trasporto aereo “deve essere armonico. Mettere in concorrenza gli aeroporti a suon di sussidi pubblici non va bene. Ne discuteremo a un tavolo con sindaci, presidenti di Regione e i vertici degli aeroporti più grandi”. Basta comunque analizzare brevemente quella che è stata la storia della compagnia irlandese nel nostro Paese per capire come essa abbia utilizzato spesso tutti gli strumenti di politica commerciale leciti o meno, per sbattere fuori altre compagnie, senza troppi riguardi verso concorrenza, trattamento dei dipendenti e servizi alla clientela. Ed ecco perché ora le argomentazioni del suo Amministratore delegato, sembrano al limite del paradosso.
La compagnia aerea Ryanair vede la luce ufficialmente nel 1985, ad opera di Tony Ryan – già a capo di un’azienda di leasing aeronautico – e della sua famiglia. Ma il vero boom della compagnia si registra agli inizi degli anni 2000, quando la sua politica di prezzi aggressivi e la diffusione della prenotazione dei voli low cost su internet grazie a una campagna aggressiva e in certi casi sleale che mette fuori mercato molte delle compagnie dei Paesi in cui entra. Fino al 2014 la compagnia cresce a ritmi del 15% all’anno e accelera la crisi di molti vettori europei storici, come Wwissair, la belga Sabena, Iberia e la nostra Alitalia. La crisi del settore aereo del periodo Covid si abbatte maggiormente proprio su vettori low cost come Ryanair, che devono di colpo cambiare strategia e politica aziendale.
Le cause di questo folle aumento dei prezzi del 2023 hanno perciò molte cause scatenanti. La prima di queste certamente è dovuta a un anomalo dell’aumento della domanda di voli, che si è scatenata già lo scorso anno, dopo la fine delle restrizioni imposte per la pandemia. Secondo la più classica legge di mercato, quando sale la domanda, il bene diventa più scarso e di conseguenza sale anche il prezzo. La seconda causa non può che essere legata alla iperinflazione di questi ultimi mesi, che ha determinato un aumento dei prezzi dei carburanti, ma anche di quelli delle materie prime, che a cascata hanno inciso sui costi di manutenzione per gli aerei e sui servizi aeroportuali in genere. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha amplificato questa tendenza al rialzo dei prezzi di prodotti energetici e materie prime. Tutto ciò ha certamente contribuito a un rialzo dei prezzi dei voli quantificato in oltre il 20% rispetto all’estate del 2022. Ma certamente questi singoli fattori non possono spiegare del tutto un aumento per certi versi davvero sconsiderato dei prezzi dei voli.
Un’altra possibile spiegazione è quella fornita da un recente articolo del Financial Times, che ha evidenziato come la ripresa dei viaggi d’affari si sia “improvvisamente arrestata quest’anno a causa dell’aumento record dei prezzi dei voli premium e della crescente pressione sulle grandi compagnie affinché riducano le loro emissioni di carbonio. I tre principali gruppi di compagnie aeree europee hanno riportato un calo del tasso di recupero dei viaggi aziendali nei loro guadagni più recenti, mentre le prenotazioni presso le compagnie aeree statunitensi sono diminuite nell’ultimo anno”. Secondo i dati della Global Business Travel Association e CWT, una società di viaggi d’affari e riunioni, la tariffa aerea media di classe premium è aumentata da 3.666 nel 2019 a 4.395 dollari quest’anno. I viaggi aziendali valgono 1,2 trilioni di dollari all’anno, secondo AmexGBT, ed è fondamentale per molte compagnie aeree e gruppi alberghieri, che in precedenza potevano fare affidamento su grandi aziende che pagavano prezzi elevati per prenotazioni flessibili.
Per ora, molte compagnie di viaggio hanno affermato che i viaggi di piacere stanno compensando il calo dei clienti business, ma alcuni si sono chiesti quanto durerà questa tendenza. Ecco allora che è chiaro che le compagnie aeree cerchino di recuperare il terreno perduto nei viaggi di affari su quelli di piacere.
Sempre per tornare a Ryanair, infine, può essere interessante analizzare i risultati registrati dalla compagnia (che tanto si lamenta in vista del nuovo decreto) negli ultimi due trimestri del 2023. La compagnia ha visto, nel periodo aprile-giugno, crescere i profitti fino a 663 milioni di euro, con una crescita del 290% rispetto allo stesso periodo nel 2022. La compagnia aerea, inoltre, prevede di trasportare 183,5 milioni di passeggeri nell’arco di tutto il 2023, con un aumento del 9%.
Ecco forse questi dati spiegano molto meglio la reazione scomposta del suo Amministratore delegato a un intervento del Governo che appare quantomeno lecito, in una situazione che oggettivamente appare sfuggita di mano e che si ripercuote sulle finanze dei cittadini che già devono fare i conti con aumenti dei prezzi nell’ordine del 9-10%. Insomma, è abbastanza evidente che in un quadro del genere tutte queste componenti determinino un aumento dei prezzi, ma come spesso accade, in questi casi c’è sempre qualche furbetto che approfitta della situazione per lucrare sulle spalle degli utenti. E giustamente il Governo e il ministero devono fermare questi subdoli tentativi di speculazione. E nel settore aereo di questi ultimi mesi sembra proprio che si stia assistendo a uno di questi tentativi speculativi.
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