Il giurista Sabino Cassese ha parlato del sistema giudiziario italiano in una intervista a ‘il Giornale’. A proposito della presunzione di innocenza, prevista nella Costituzione, ha detto: “Il secondo comma dell’articolo 27 dispone che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Questo principio è stato travolto in Italia dall’affermazione di quello che può chiamarsi un vero e proprio quarto potere, le procure. Queste non si limitano all’accusa ma, sostanzialmente, giudicano. Basti pensare alle conferenze stampa in cui si vedono procuratori circondati da forze dell’ordine, che annunciano, con titoli altisonanti, le accuse. In inglese questo processo si chiama naming and shaming, cioè nominare e svergognare”.



Cassese ha anche detto che “si fa un uso eccessivo della carcerazione preventiva e che questo è un sintomo di un possibile uso abusivo o distorto”. La soluzione per evitare al massimo gli errori giudiziari si ottiene, secondo il giudice emerito della Corte costituzionale, “assicurando una piena indipendenza e imparzialità di quella parte del corpo dei magistrati che fa parte degli organi giudicanti. Questo vuol dire completa impermeabilità. E questo comporta una separazione tra componenti degli organi di accusa e componenti degli organi giudicanti”.



SABINO CASSESE: “SERVE SEPARAZIONE TRA ORGANI REQUIRENTI E GIUDICANTI”

Nell’intervista a ‘il Giornale’, Sabino Cassese si è espresso riguardo il sistema attuale di arruolamento e di formazione dei giovani magistrati: “Il reclutamento in Italia presenta alcuni aspetti positivi. In primo luogo, è avvenuto con una certa continuità e regolarità, a differenza del reclutamento degli altri pubblici dipendenti. In secondo luogo, la diversità di trattamento economico, i privilegi di status e di indipendenza dei magistrati, la stessa severità delle prove, hanno certamente attirato alcuni dei migliori laureati in giurisprudenza verso la magistratura. Tuttavia, il sistema di reclutamento soffre di alcuni difetti”.



Tra questi, secondo Cassese, il fatto che in primo luogo “si misurano le conoscenze giuridiche, non la capacità di ponderazione, la maturità, la riflessività dei candidati. In secondo luogo, c’è un alto grado di familismo: si può stimare che poco meno del 20% degli attuali magistrati sia figlio o parente di magistrati. Poi, c’è una scuola della magistratura che non riesce a fornire ai giovani magistrati conoscenze relative alla misurazione dei tempi delle procedure, capacità di analisi dei carichi di lavoro, abilità nell’intendere le implicazioni delle decisioni. Ne deriva, nel corpo dei magistrati, composto di ottimi giuristi ed eccellenti persone, una inconsapevolezza dell’attuale stato della giustizia in Italia”.