“I sacchetti biodegradabili inquinano”
Un recente studio citato dal quotidiano francese Le Figaro, ha evidenziato una realtà troppo a lungo taciuta sui sacchetti biodegradabili, tendenzialmente usati sia nei reparti orto frutta dei supermercati, che alle casse. Introdotti per garantire un’alternativa green e sostenibile ai sacchetti monouso di plastica non riciclabile, sembra che in fin dei conti non siano a loro volta completamente compostabili, come evidenziato dai dati raccolti da Anses, ovvero l’Agenzia nazionale per la sicurezza alimentare e la salute ambientale francese.
Stando ai dati raccolti da Anses, insomma, sembra che una larghissima parte dei sacchetti biodegradabili contengano una percentuale variabile di plastica prodotta a partire dal petrolio, notoriamente non degradabile nell’ambiente. Un rischio che sussiste soprattutto, evidenzia Aurélie Mathieu, vice capo dell’unità dell’Anses per la valutazione dei rischi legati alle sostanze chimiche, “quando un privato sparge il compost nel proprio orto”. Se nel compost sono stati gettati dei sacchetti biodegradabili, con l’illusione che si siano completamente “sciolti”, “non si può escludere la contaminazione, che comporta un rischio per l’ambiente e per la salute umana” a causa dei piccoli polimeri di plastica dispersi nel suolo.
Sacchetti biodegradabili: perché non si possono compostare?
Secondo quanto evidenziato dall’articolo del Figaro, insomma, sembra che i principali rischi ambientali e alla salute pubblica dei sacchetti biodegradabili, siano legati alla pratica di compostarli domesticamente. In questo caso, infatti, seppur il sacchetto non rimanga intero e risulti completamente degradato, all’interno del compost rimarranno alcuni polimeri di plastica. Questi, infine, vengono prima dispersi nel suolo privato, contaminando potenzialmente le coltivazioni dell’orto del privato cittadino, finendo poi per accumularsi nel suolo e contaminare funghi, lombrichi e piccoli organismi.
Non si deve pensare, però, che l’impossibilità di compostare al 100% i sacchetti biodegradabili sia colpa delle aziende che li producono. Infatti, affinché un prodotto (e nella fattispecie il sacchetto) possa essere considerato biodegradabile deve degradarsi con l’azione dei microrganismi, ma può contenere una percentuale variabile e non limitata di plastica. Più stringente, invece, la definizione “compostabile” che prevede la degradazione del 90% del prodotto entro 6/12 mesi a una precisa temperatura ed umidità. Non sempre, però, le norme vengono applicate correttamente e lo dimostra un esperimento condotto dall’Università di Plymouth. Gli studiosi nel 2019 hanno sepolto nella terra un sacchetto biodegradabile, scoprendo che dopo 27 mesi interrato era ancora perfettamente integro. Lo stesso sacchetto, lasciato poi all’aperto, si è degradato in 9 mesi, ma lasciando parecchi frammenti di plastica sul terreno.