Non si placano in Nigeria gli attacchi agli esponenti ecclesiastici, come testimonia l’omicidio del sacerdote cattolico trentenne Don Alphonsus Bello, parroco di San Vincenzo Ferrer a Malunfashi, nello Stato di Katsina. Stando alle prime ricostruzioni eseguite dai media locali, il luogo sacro sarebbe stato assaltato da un numero imprecisato di uomini armati, in merito alle cui identità gli inquirenti starebbero ancora brancolando nel buio. Dopo l’irruzione, don Bello è stato sequestrato, al pari di don Joe Keke, religioso ultra70enne che risiedeva all’interno dell’edificio.



Per il più giovane dei due, purtroppo, non c’è stato nulla da fare: nella mattinata di venerdì 21 maggio 2021 il suo corpo privo di vita è stato rinvenuto in un terreno limitrofo alla Catechetical Training School di Malunfashi. Ancora nessuna novità, invece, per quanto concerne le sorti dell’anziano don Joe Keke, del quale si sono perse le tracce. Una vera e propria tragedia, l’ennesimo dramma che la Chiesa vive nel Paese africano e che accende ancora una volta i riflettori sulle condizioni di estrema difficoltà nelle quali i rappresentanti del mondo cattolico si ritrovano a operare.



SACERDOTE CATTOLICO UCCISO IN NIGERIA: “BASTA VIOLENZE!”

Profondo cordoglio ha suscitato in Nigeria la notizia della morte di don Alphonsus Bello, sacerdote cattolico di appena 30 anni d’età e, all’interno della comunità locale, si respira un clima di forte terrore, come sottolinea in una nota il sodalizio “Aiuto alla Chiesa che soffre”, nella quale viene richiesto nuovamente al Governo di intervenire efficacemente per garantire la sicurezza dei fedeli e dei sacerdoti impegnati nel loro servizio pastorale. “Un altro sacerdote ucciso in Nigeria – scrive la fondazione pontificia –. È accaduto ieri a Kaduna. Malviventi hanno freddato don Alphonsus Yadhim Bello, ordinato solo tre anni fa. Nel giro di pochi giorni sono stati inoltre rapiti altri tre sacerdoti e, dietro di loro, ci sono comunità di fedeli. Basta violenza!”. La paura, insomma, è ancora tanta e si può leggere senza alcuna esitazione negli occhi di chi a Kaduna vive e quotidianamente osserva una realtà lontana anni luce da quella che desidererebbe frequentare.

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