Saddam Hussein, la cattura raccontata dopo 19 anni

Nessun testimone aveva mai raccontato nei dettagli la cattura di Saddam Hussein, avvenuta il 13 dicembre 2003, in un villaggio sperduto dell’Iraq. I militari, guidati da un gruppo della Delta Force, le unità speciali dell’esercito americano, sono stati chiamati al segreto e alla discrezione totale. Il SOCOM (Special Forces Command) vieta severamente di parlare dell’argomento. Nel podcast “Danger Close”, dedicato agli affari militari, tenuto da Jack Carr, Kevin Holland, uno degli operatori protagonisti dell’operazione Saddam, ha raccontato i dettagli di questo eventi rimasto relativamente sconosciuto.



Il sergente capo era allora in servizio con il primo distaccamento operativo (Delta) delle forze speciali americane in Iraq. Dopo la carriera nei Navy Seals, i commandos d’élite della marina, è andato in pensione anticipata nel 1999. Jack Carr, lui stesso ex ufficiale delle forze speciali, conoscendo gli ordini dei SOCOM, aveva dichiarato: “Non so se possiamo parlarne o meno, potrebbe essere necessario tagliare il montaggio!”. Per diciannove anni nessun soldato americano aveva raccontato l’esatto svolgimento dell’arresto di Saddam Hussein nel 2003 in un nascondiglio sotterraneo nei pressi di Tikrit nella regione sunnita. Come racconta Kevin Holland, gli operatori raggruppati nella Task Force 121 individuano le guardie del corpo del dittatore, tra cui Mohammed Ibrahim al-Muslit. “Avevamo con noi il nostro informatore, che ci ha detto dov’era esattamente” ha spiegato l’ex soldato. L’informatore è proprio al-Muslit.



Il racconto dell’ex sergente capo

Gli americani, guidati direttamente al nascondiglio di Saddam Hussein dalla sua guardia del corpo, al-Muslit, arrivano al covo. L’accesso è ricoperto da terra, vegetazione, sabbia. Una volta liberata la boscaglia, si trovano davanti a una lastra di polistirolo munita di due maniglie. “C’è un tubo attraverso il quale respirare. Sgomberiamo tutto e, sollevando il polistirolo, la sabbia scorre e scompare nella buca, profonda almeno tre metri” spiega Holland. In quel momento uno dei compagni del sergente Holland introduce una granata, esplosa nello stretto tubo, producendo un’esplosione soffocata. “Accendiamo le nostre lampade fisse sulle nostre armi e distinguiamo un puntello di mattoni. Sappiamo quindi che questo nascondiglio è speciale. E che il tizio che stiamo cercando è lì dentro”, spiega Holland.



Viene inviato un cane da fiuto per stanare eventuali occupanti del buco, ma anche lui indietreggia, visibilmente spaventato. Poi si sente una voce soffocata che risponde in arabo. “Improvvisamente appaiono le mani, poi una grande testa barbuta e spettinata” spiega ancora l’ex militare. Le Delta Forces si accorgono che Saddam Hussein ha in mano una pistola, una Glock 18 semiautomatica da 9 mm. Il ricercato viene colpito da un colpo che lo stordisce e articola: “Sono Saddam Hussein, sono il presidente dell’Iraq e sono pronto a negoziare”.
“Gli abbiamo risposto: ‘È un po’ tardi, fratello'”, ricorda il sergente della Delta Force. “Il presidente Bush vi manda i suoi saluti”. I soldati americani decidono di ispezionare il nascondiglio: “Mi infilo nel tunnel, pistola alla mano, e mi rendo subito conto che è più grande di quanto pensassimo, con diversi inizi di tunnel. Torno su e chiedo ai ragazzi di darmi una seconda pistola, una Glock dotata di torcia”.