Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è un organo specificatamente previsto dalla Costituzione repubblicana che, all’art. 99, lo delinea come uno strumento di consulenza delle Camere e del Governo per le materie, e secondo le funzioni, che gli sono attribuite dalla legge a partire, ovviamente, dal lavoro e dall’economia, diremmo oggi, nazionali. Nello specifico questo istituto ha la possibilità di avanzare iniziative legislative e può, in ogni caso, contribuire all’elaborazione della legislazione economica e sociale secondo principi, ed entro limiti, stabiliti dalla legge.
In questo quadro la Premier Meloni ha incaricato il Presidente del Cnel Brunetta, già ministro berlusconiano e draghiano e prima ancora esponente socialista, di aiutare il Governo ad avanzare una proposta “organica” in materia di salario minimo e lavoro “povero” più in generale.
I contenuti della proposta sono, già ora, facilmente immaginabili vista anche la memoria presentata dal Cnel alla commissione Lavoro della Camera e nella quale ha già avanzato otto specifiche proposte di merito e di metodo.
In tal senso emerge la necessità, per normare in queste delicate materie socialmente particolarmente rilevanti, di un profondo e significativo coinvolgimento e confronto con le parti sociali.
Si immagina poi che il dibattito non debba limitarsi all’alternativa salario minimo per legge sì o no, ma affrontare, a monte, tutti i vari, e storici, problemi che ostacolano la crescita dei salari dei lavoratori, tra cui i ritardi nei rinnovi contrattuali, la crescita del costo della vita, l’elevato cuneo fiscale, l’impatto della precarietà, del part-time, ahimè troppo spesso, involontario e del “lavoro povero” nelle sue varie forme.
In questo quadro si propone di affrontare il nodo della bassa produttività e quello del “dumping” contrattuale che rischia di impattare negativamente sulla qualità della contrattazione collettiva.
Si immagina poi di attivarsi contro i contratti “pirata”, valorizzando sempre più il rispetto del trattamento economico come determinato dal Ccnl di riferimento sottoscritto dalle parti sociali maggiormente rappresentative nei diversi settori.
Per intervenire, poi, sui bassi salari si consiglia di operare, anche, dal lato della riforma fiscale e con misure tese a favorire un pieno sviluppo a tutti i livelli (anche di prossimità) della contrattazione collettiva.
In tal senso viene (ri)proposto di rilanciare la connessione tra salari e andamento dell’impresa anche attraverso forme di decontribuzione per le imprese e si ipotizza di favorire forme di partecipazione dei lavoratori, con una più forte legislazione fiscale di sostegno, a partire dalle soluzioni di “profit sharing”.
L’auspicio è che su queste proposte si inserisca un vero dialogo tra le parti, sociali e politiche, e che il rimando al Cnel non rappresenti solo uno strumento per calciare la palla in tribuna e rimandare la discussione.
Questa potrebbe essere, infatti, l’occasione per fare, con un bel gioco di squadra, gol al lavoro “povero” e vincere insieme un’importante partita per la “squadra” Italia.
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