Non più tardi di venerdì scorso, Fabio Panetta ha esordito in qualità di Governatore della Banca d’Italia al Forex , pronunciando un discorso molto ampio che, partendo da una valutazione attenta del contesto economico, è planato su di un tema che lo ha visto protagonista quando era ancora membro del board della Bce e che ha condizionato la politica monetaria nel corso del 2023: l’inflazione. Si può discutere – com’è avvenuto – della gradualità e dell’intensità dell’azione della politica monetaria, ma un fatto è innegabile: è stato evitato che l’inflazione si autoalimentasse e divenisse endemica. Le aspettative di inflazione nel medio termine sono rimaste ancorate all’obiettivo del 2% condizione indispensabile per la stabilità dei prezzi. Ciò ha limitato il costo della disinflazione, che finora si è realizzata senza una profonda recessione. Ne deriva che il permanere di un tasso di sconto elevato potrebbe creare problemi a un’economia in affanno e che anche le buone performance del mercato del lavoro potrebbero risentirne.



Infatti, secondo Panetta, è già in atto un rallentamento che non vuol significare comunque un’inversione di tendenza. Ma le aziende che hanno mantenuto inalterati gli organici nel quadro delle incertezze del contesto economico e produttivo potrebbero essere indotte a operazioni di adeguamento a fronte di una prospettiva di crescita limitata.



È questa una considerazione finora inedita per quanto riguarda il “mistero” dei record successivi sul versante dell’occupazione e della disoccupazione. Ma la principale novità nel discorso del Governatore riguarda la questione dei contratti collettivi e delle retribuzioni. Il senso della sua analisi potrebbe riassumersi così: abbiamo sopravvalutato il rischio di una rincorsa salari/prezzi ai fini del contenimento di un’inflazione che in pochi mesi sembrava scappata di mano. Non è completamente superato – secondo Panetta – il rischio che una dinamica ancora robusta dei salari nominali possa alimentare nuovamente l’inflazione; ma le preoccupazioni si attenuano se si leggono i dati con attenzione.



“Il lavoro è solo uno dei fattori di produzione e la sua incidenza sui costi totali delle imprese è ben inferiore a quella dei beni intermedi e dell’energia. La crescita attuale dei salari, pur superiore a quella del biennio 2021-22, è compensata dalla riduzione degli altri costi in atto da mesi”. Queste parole del Governatore della Banca d’Italia costituiscono un endorsement inatteso ma esplicito alle organizzazioni sindacali dei lavoratori e uno smascheramento delle preoccupazioni degli imprenditori. L’aumento dei costi complessivi delle imprese – che rappresenta secondo Panetta la determinante primaria dell’inflazione (a Landini sono fischiate le orecchie?) – si è pertanto via via affievolito fino ad annullarsi, attenuando le pressioni inflazionistiche. Coerentemente con questi andamenti, le aspettative delle imprese non prefigurano un’accelerazione dei costi totali nei prossimi mesi. Ma non è ancora finita. “Oggi la probabilità che un ipotetico rafforzamento della dinamica salariale dia il via a una tardiva rincorsa salari-prezzi è pertanto esigua. Per di più – osserva il Governatore – con pressioni inflazionistiche che volgono al ribasso e profitti delle imprese elevati, un qualche recupero del potere d’acquisto dei salari, dopo le perdite subite è fisiologico e potrà sostenere i consumi e la ripresa dell’economia”.

Che dire? Non siamo certo all’enrichessez-vous di Francois Guizot, ma si avverte un insolito incoraggiamento a Cgil, Cisl e Uil (ammesso e non concesso che siano ancora interessate a fare il loro mestiere) da parte di un’autorità monetaria. Negli ultimi tempi le statistiche ci dicono che vi è una certa vivacità nel mercato interno e dei consumi, tanto da poter inserire questi trend nel quadro di un sostegno più generale – a fronte del permanere di talune condizioni strutturali – al complesso dell’economia. Sabato i quotidiani hanno commentato con un certo rilievo queste indicazioni che mettevano a nudo le contraddizioni che ci portiamo appresso da molti mesi. Se qualcuno si azzarda a dire che i tassi di occupazione sono buoni viene zittito subito con toni stizziti: “Ma i salari sono bassi”. In effetti l’Istat nel suo ultimo Rapporto ha certificato che, nel mese di dicembre 2023, la quota di dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 52,4% per il totale dell’economia, quota in aumento rispetto al mese precedente (quando era il 51,1%) e rispetto a dicembre 2022 (49,6%). Ma il dato più clamoroso è ancora un altro: nel settore privato, la quota dei dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 38,3%, in aumento sia rispetto al mese precedente (36,6%), sia rispetto a dicembre 2022 (34,7%); i mesi di attesa per i dipendenti con il contratto scaduto sono 38,6. In pratica più di quattro anni, durante i quali i sindacati – bini o trini – hanno infilato diverse volte il rito dello sciopero generale.

Domenica mattina ha avuto luogo – in relativa segretezza (perché un giornalista se ne è accorto e ha lanciato l’allarme) – un incontro tra Maurizio Landini e Giuseppe Conte, presso l’abitazione di quest’ultimo. La notizia ha suscitato grande scalpore solo perché la gente ha la memoria corta. Un analogo incontro avvenne anche durante la sessione di bilancio per concordare gli emendamenti. Tanto che il gruppo del M5S – basta fare un controllo – fece propri molti degli emendamenti che la Cgil aveva presentato in audizione in Commissione. Che cosa si siano detti i due leader non è stato reso pubblico. Corre voce però che il tema principale abbia riguardato il rilancio del salario minimo (la legge delega deve ancora essere approvata dal Senato). Non si sa se i due “fratelli De Rege” abbiano commentato anche l’intervento di Panetta. Saremmo portati a escluderlo, perché la strategia della Cgil più che ai contratti è interessata alle politiche pubbliche; più che ai padroni tende a rivolgersi ai Governi.

e concludendo vogliamo trarre qualche conclusione sui rapporti intercorrenti tra le sinistre politiche e sindacali ormai abbiamo capito come funziona li processo decisionale: Landini e Conte concordano riservatamente la linea; poi tocca al leader della Cgil trasmetterla a Elly Schlein che la esegue con tutta la diligenza di cui è capace.

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