En France on n’a pas de pétrole mais on a des idées fu uno slogan a lungo agitato nella Francia degli anni Settanta che in quel decennio doveva confrontarsi con una pesante crisi energetica. Tradotto: In Francia non abbiamo petrolio ma abbiamo delle idee. La versione italica di quello slogan transalpino, per la verità un tantino sopra le righe, è il nostro caro e vecchio: eh, signori miei, quando c’era lui sì che le cose funzionavano!
Non siamo stati travolti dall’onda dello sport nazional-italico del salto sul carro del vincitore. Intanto perché mica vero che allora, all’epoca del Mascellone per capirci, le cose funzionavano (ricordate le scarpe di vacchetta con cui andare a conquistare la Russia o il caffè di ortica perché bisognava essere autarchici?) e poi perché al contrario di quel che si dice non siamo mica convinti che Giorgia assomigli al ‘Crapùn’ come si diceva dalle nostre parti. Ci stiamo riferendo, assai più modestamente, alla storia sindacale italiana: le cose funzionavano quando alle spalle del nostro sistema sindacale stavano sì i testoni, ma quelli dei premi Nobel la cui analisi e il cui rapporto con i dirigenti nazionali di Cgil, Cisl e Uil ne influenzavano l’analisi economica ed erano dunque al fondamento di ogni rivendicazione: primum cogitare deinde scioperare, potremmo latineggiare pensando a quegli anni.
Nei giorni scorsi sono uscite due interviste, una a Landini e l’altra a Gigi Sbarra. Cgil contro Cisl: come da facile previsione si va avanti per contrapposizione gemellare antitetica, una sorta di malattia che rappresenta la deriva delle diversità ideali. Tema della discussione: come far rientrare un po’ di soldi nelle tasche degli italiani depauperate da un’inflazione a doppia cifra. Roba che solo chi ha la veneranda età degli ultrasessantenni si ricorda. Di ricette governative per ora non se ne vede nemmeno l’ombra se non si catalogano tra le ricette la vetustissima distribuzione delle scarpe destra e sinistra sotto forma di buoni: 200 eurini ad alcuni, 150 ad altri, 500 ad altri ancora e un bel taglio delle tasse a chi alla parola tassa trasecola come se si fosse trovato di fronte a un marziano.
Sicché l’inflazione: vi ricordate (almeno quelli che all’epoca c’erano e sono ancora vivi) le discussioni sulla scala mobile? Marini e D’Antoni contro Lama e Trentin. Ma prima di tutto un’analisi della situazione: perché da una parte c’era un premio Nobel come Franco Modiglian, e dall’altra il formidabile apparato intellettuale che sosteneva le posizioni della Cgil? Ecco, se non si vuol catalogare come nostalgia, la vera differenza tra quelle stagioni sindacali, dure, pesantissime, anche violente, e l’attuale sta principalmente non nei metodi o nei contenuti ma nelle premesse. Siamo davvero sicuri che il problema attuale dei salari erosi dall’inflazione si risolva, come pare credere il buon Landini, con la settimana corta e il taglio del costo del lavoro?
Non che questi interventi siano inutili, ma a corollario di tali non nuovissime proposte sarebbe stato gradito anche un suggerimento su dove trovare il denaro per metterle in atto e se il Pantalone in questione dovrebbe essere il bilancio statale. O pensa anche il buon Maurizio, come sembrano crederlo una parte del Governo attuale e una parte della opposizione attuale, in sostanza i bipopulisti, che alla fine l’intervento si scaricherà sul non certo piccolo debito nazionale? Cioè sui nostri bisnipoti (perché ormai i figli sono già sommersi e affogati)?
Ovviamente non poteva mancare un accenno alla lotta all’inflazione: non che non sia giusto, anche questo. Solo che Landini sembra ragionare in termini politici (non di politica economica, ma proprio di politica partitica): sembra dimenticare che gli italiani hanno premiato chi prometteva loro di non fargli pagare le tasse. In sostanza chiedere che proprio loro aumentino la lotta all’evasione è, nel migliore dei casi, abbastanza velleitario. Per cui si torna al discorso di prima: chi paga?
Ora se a sinistra s’ode uno squillo di tromba a destra, leggi: Cisl, che si suona? Spiace dirlo, ma nella lunga e per altri versi interessante, intervista di Gigi Sbarra non si intravvedono proposte tali da risultare pienamente convincenti: i salari bassi sono un problema, come lo è la povertà diffusa, soprattutto nel Sud; occorre far emergere il lavoro povero; si devono ammodernare i meccanismi di riallineamento dell’inflazione. Soprattutto si deve puntare su concertazione e relazioni industriali. Nulla di inadeguato, naturalmente: sono proposte che intercettano problemi veri e degni di riflessione. Ma che riguardano il metodo di distribuzione dell’eventuale ricchezza prodotta, non l’incremento della stessa.
La questione, insomma, finisce per essere presa a valle: come fare a rendere tutti meno poveri, quando invece, a nostro avviso la domanda con cui i sindacati dovrebbero confrontarsi dovrebbe essere un’altra. E cioè: come fare a sostenere un sistema, quello produttivo italiano, che sta implodendo? Come intervenire per rendere competitivo il nostro Paese? Di cosa abbiamo bisogno? Quali sono i soldi a disposizione e come utilizzarli? E a questo proposito: l’impressione, ma speriamo seriamente di sbagliarci, è che anche i Fondi europei rischino di finire nel catalogo delle occasioni perse. Non per mancanza di denaro, ma per carenza di idee innovative strutturali.
E così torniamo al punto di partenza: ah, quando c’erano quei testoni, nel senso di quegli intellettuali; allora sì che si avevano delle idee.
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