Nei giorni scorsi è stata depositata alla Camera la proposta di legge “quasi” unitaria, manca Italia Viva di Renzi, del centro-sinistra allargato (M5s, SI, Azione, Pd, Europa verde e +Europa) sul salario minimo. La proposta di legge, intitolata “Disposizioni per l’istituzione del salario minimo”, è stata, infatti, firmata da tutti i leader dei partiti di opposizione che sono anche deputati e dai rispettivi capigruppo alla Camera.
La proposta si compone di otto articoli. Il primo prevede che in attuazione dell’articolo 36, primo comma, della Costituzione, i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, siano tenuti a corrispondere ai lavoratori dipendenti, come definitivi dal codice civile, una retribuzione complessiva sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
Sul tema, come noto, la posizione dell’Esecutivo è diversa. Il 30 novembre 2022, la maggioranza di destra-centro che sostiene il Governo “patriota” di Giorgia Meloni ha, infatti, dichiarato la propria contrarietà all’introduzione di un salario minimo legale in nel nostro Paese. Secondo il Governo, un salario minimo legale non è la soluzione giusta in un Paese in cui i contratti collettivi nazionali sono ampiamente diffusi, e sarebbe, bensì, più efficace estendere e rafforzare i contratti nazionali di lavoro e ridurre, allo stesso tempo le tasse sul lavoro (operare sul cd “cuneo fiscale”).
Nello specifico, secondo la Presidente Meloni, la Direttiva europea sul salario minimo, approvata nell’ottobre scorso, non potrà, in nessun modo, rappresentare un “vincolo esterno” che impone all’Italia di introdurlo. La Direttiva, è bene ricordarlo, elenca quattro criteri che devono, come minimo, essere rispettati per la definizione, e ovviamente l’aggiornamento, degli importi dei salari minimi legali nei diversi Paesi membri: potere d’acquisto, tenendo conto del costo della vita, il livello generale dei salari e la loro distribuzione, il tasso di crescita dei salari e, nel lungo termine, i livelli di produttività e sviluppo
Si prevede, quindi, che, negli Stati membri con una copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80% sono tenuti a stabilire un piano d’azione per promuoverla. Come noto, tuttavia, il nostro Paese ha una storia consolidata e diffusa storia di contrattazione collettiva.
La proposta dell’opposizione può, e deve, rappresentare, in ogni caso, una preziosa opportunità per aprire una discussione seria, e franca, sul rilancio del nostro Paese attraverso il lavoro di qualità e la produttività del sistema. Il lavoro, e lo sviluppo, infatti, non si crea per decreto, e, tantomeno, lo si fa da soli negli uffici dei ministeri, ma altresì rilanciando un dialogo aperto con tutte le parti sociali, anche quelle, storicamente e ideologicamente, più lontane. La capacità di cooperare e lavorare insieme proficuamente è, se ci si pensa bene, il segreto di una qualsiasi buona contrattazione collettiva che il Governo dei conservatori di Giorgia Meloni si propone di rafforzare e rendere più moderna ed efficace.
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