Cercasi personale disperatamente, soprattutto stagionale. Lo trova chi riesce a offrire un alloggio adeguato e condizioni economiche più vantaggiose rispetto ai Ccnl. Chi non può (o non vuole) s’arrangia a ranghi ridotti, riducendo servizi e qualità. Si accusano gli stipendi da fame, tra i più bassi d’Europa, bloccati da decenni e frantumati in infinite varianti. Si accusa anche la competitività del Reddito di cittadinanza, ma il solo paragonare uno stipendio, ad esempio, di un lavoratore del turismo rispetto al Rdc implica ammettere che quello stipendio è assurdamente basso.



Si discute, in questi giorni, sulle varie proposte in merito al salario minimo, in origine diverse anche se provenienti tutte dalle opposizioni, e oggi confluite nella conferma della contrattazione collettiva, ma con l’introduzione di una soglia minima inderogabile di 9 euro lordi all’ora (in Lussemburgo sono 13,3, in Germania 12, 11 in Francia, ma in Italia, secondo Inps, 4,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 9 euro-ora). C’è anche la proposta di legge avanzata da Azione: adeguamento da parte dei sindacati dei rispettivi contratti nazionali entro novembre 2024; l’istituzione in Legge di bilancio di un fondo per aiutare le imprese a rispettare i nuovi livelli di retribuzione; l’introduzione di una commissione ad hoc che verifichi e monitori l’andamento del salario minimo. “Introdurre questa misura è urgente, soprattutto perché l’inflazione ha colpito duramente i lavoratori poveri, sempre più in difficoltà per l’aumento del costo della vita”, commenta il segretario veneziano di Azione, Paolo Bonafè. In Europa solo Italia, Danimarca, Cipro, Finlandia, Svezia e Austria si affidano esclusivamente ai Ccnl, tutti gli altri Paesi hanno introdotto da tempo la retribuzione minima garantita, una soglia minima che non può essere ribassata da nessuna contrattazione, né collettiva, né aziendale. L’indirizzo del Governo italiano è però diverso, ovvero procedere con la revisione dei meccanismi dei Ccnl, estendendoli anche ai settori oggi esclusi, e con la riduzione del cuneo fiscale, con l’abbassamento delle tasse sul lavoro.



La questione centrale, in ogni caso, è confusa nell’equiparazione del Ccnl al salario minimo, quasi il secondo fosse superfluo vista l’esistenza del primo. In realtà, però, bisogna considerare che in Italia la contrattazione collettiva non è propriamente un obbligo (basti pensare che due unità produttive della stessa impresa possono anche avere contratti collettivi diversi), e quando c’è non sempre viene attesa. E insiste ancora il nodo rappresentatività, ovvero chi è chiamato a sedersi al tavolo della contrattazione: può capitare che sigle che contano solo pochissimi iscritti firmino intese per migliaia di lavoratori. Si tratta del dumping contrattuale, fenomeno che vede anche la nascita di rappresentanze ad hoc, per sottoscrivere intese particolarmente gradite all’impresa. Le refrattarietà al sistema sono poi evidenti nel perdurare anche per anni della vacanza dei rinnovi, fatto che alimenta anche il fenomeno dei lavoratori, in regola, che percepiscono un salario inferiore ai minimi contrattuali. È il lavoro sottopagato, che fa sì che chi è povero lo sia sempre di più.



La volontà del recruiting, nella manifattura, nei servizi, nel turismo, è però ravvisabile nelle best practices che i datori potrebbero adottare, dalle contrattazioni di secondo livello, a quelle aziendali, ai benefit per gli addetti, al secondo welfare, ai trattamenti sanitari. Alla formazione, che consente l’upgrading del personale secondo le necessità aziendali. Per finire (soprattutto nel caso di stagionali e non residenti) con l’individuazione delle indispensabili staffhouse.

Salario minimo o detassazione, lo scopo dovrebbe essere comunque una soglia di dignità, e l’inclusività di tutto l’occupato in una regolamentazione che perequi le retribuzioni al costo della vita, dando dignità al lavoro, a qualunque lavoro, e al tempo e all’attitudine che il dipendente è chiamato a spendervi.

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