SALARIO MINIMO FISSATO… DAL GIUDICE: LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE “SUPERA” IL PARLAMENTO

«Lo stipendio mensile superiore alle soglie di povertà fissate dall’Istat e che rientra nei contratti collettivi non per forza è legittimo»: il salario minimo al momento non è fissato per legge, ma dai giudici sì. La sentenza della Cassazione di fatto arriva a “superare” le discussioni in Parlamento tra i convinti pro-salario minimo (M5s e Pd) e chi invece ritiene sensata – come ci ha spiegato anche la Ministra del Lavoro Marina Calderone in questa intervistal’attuale legislazione che copre con i Contratti collettivi nazionali (CCNL) più del 90% dei lavoratori.



La Cassazione nelle sentenza 27711 di fatto arriva a fissare alcuni paletti per rendere il salario minimo costituzionale fissato dal giudice che possa essere «proporzionato e sufficiente a garantire gli standard minimo di legge». Per poter verificare se la retribuzione del lavoratore è proporzionale all’attività svolta, si legge nella sentenza della Corte di Cassazione chiamata a giudicare il caso di 9 lavoratori di una Cooperativa di vigilanza e portierato, il magistrato deve fare riferimento anzitutto «agli importi previsti dal contratto collettivo nazionale di categoria». Può però anche discostarsi nel momento in cui la paga non può ritenersi sufficiente in base al principio ex articolo 36 della Costituzione.



COME FUNZIONA IL SALARIO MINIMO PER LA CASSAZIONE

Il salario minimo deciso per via sentenziale dalla Cassazione di fatto istituisce la possibilità di una paga che permetta di «vivere una vita a misura d’uomo»: la Corte d’Appello si era fermata dopo il ricorso dei vigilantes, riconoscendo un primato alla contrattazione collettiva. La Cassazione invece va ben oltre e supera il Parlamento e lo scontro tra i partiti: «la retribuzione deve essere sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa e la contrattazione collettiva non può tradursi, in fattore di compressione del giusto livello di salario e di dumping salariale».



I criteri stabiliti da CCNL e Istat non bastano più secondo la Corte per poter misurare la congruità e legittimità di uno stipendio: il salario minimo non dovrebbe distanziarsi troppo da quello medio del Paese, è il principale criterio fissato dalla sentenza. I giudici nel terzo e definitivo grado di giudizio hanno lamentato che la corte d’Appello abbia preso a riferimento «lo stipendio lordo (930 euro) e non quello netto (650,29), come invece avrebbe dovuto». In definitiva, la Cassazione ritiene legittima la busta paga se valutata in base alla Direttiva Ue 2022/2041: «la retribuzione deve coprire – oltre alle necessità materiali quali cibo, vestiario e alloggio – anche la partecipazione ad attività culturali, educative e sociali».