La forza mediatica della proposta sul salario minimo legale è testimoniata dalla capacità della (evidentemente esagerata) promessa “mai più lavoro povero” di nascondere i tanti fronti scoperti del disegno di legge dell’opposizione. Come noto, sarà ora il Cnel a svolgere approfondimenti mirati da fornire alle parti sociali, verificando se vi sia spazio per un accordo tra le forze che ben più che la politica conoscono le peculiarità di ogni settore produttivo, dei territori e, in generale, di un mercato del lavoro che ben poco si presta ad essere letto con i valori medi, essendo perduranti ed evidenti le differenze tra Nord e Sud e tra filiere industriali e dei servizi. La necessità di comprendere in prossimità le specificità dei diversi contratti collettivi è anche uno dei fattori che indebolisce (tecnicamente, non certo mediaticamente) la pretesa di ricondurre il salario minimo a una cifra unica, uguale per tutti, di valore largamente superiore ai riferimenti utilizzati nella Direttiva europea.



Il dibattito sul salario minimo ha movimentato tutta la pausa agostana e non c’è modo di riassumerlo in poche righe. È tuttavia opportuno riflettere almeno su uno degli interrogativi ricorrenti che interessano la proposta delle opposizioni: com’è stato individuato il valore di 9 euro lordi che funge da “trattamento economico minimo orario stabilito dal Ccnl” (articolo 2, comma 1 della proposta di legge A.C. 1275, ossia la proposta unitaria dei partiti di opposizione) capace di segnare il confine tra lavoro povero e salario equo?



Michele Tiraboschi ha già spiegato sulle pagine del bollettino Adapt che questo passaggio del disegno di legge è destinato a non tenere costituzionalmente, volendo imporsi non sugli imprenditori, ma sulla libera azione contrattuale: un vero e proprio macigno sul progetto dell’opposizione che curiosamente è stato poco ripreso dai media. Fermo restando questo ostacolo tecnico, viene comunque da chiedersi: perché 9 e non 8 o 10? Non a caso le forze che vogliono superare a sinistra il Pd si sono affrettate a chiedere la cifra tonda, addirittura netta! Quale è la ragione tecnica nella scelta dei 9 euro?



Ha recentemente provato a spiegarla sul Quotidiano Nazionale Maria Cecilia Guerra, che di economia si intende, non riuscendo però a tirar fuori nulla di più di un balbettio semi-scientifico a riguardo del “50% della media dei salari comunitari”, “del fatto che molti dei contratti sono scaduti”, “l’inflazione al 7%”, il dato Istat sull’ipotetico valore dei salari senza sovrapprezzi energetici. Eppure, quando il numero è stato formulato (proposta di legge Catalfo del 2014, aggiornata poi nel 2021) non vi era alcuna inflazione, i salari europei erano più bassi, il Covid ancora lontano, così come la crisi energetica. Lo stesso Movimento 5 Stelle usò curiosamente tutt’altri riferimenti quando approvò il Reddito di cittadinanza: quella misura prevedeva l’obbligo di accettazione di proposte di lavoro retribuite con almeno 858 euro, giudicati “congrui”, anche quando full-time: era quindi indirettamente indicata come equa una retribuzione di circa 5,5 euro all’ora, ben distante quindi dalla soglia dei 9 euro lordi!

Addirittura gli indicatori citati nella Direttiva europea 2022/2041 del 19 ottobre 2022, il punto di partenza argomentativo dell’opposizione, sono ben diversi: i valori adottati per individuare il “lavoro povero” sono il 60% della retribuzione lorda oraria mediana (in Italia 7,02 euro) o il 50% della retribuzione lorda oraria media (7,23 euro). Si tratta, in effetti, di riferimenti che, pur invadendo gli spazi della contrattazione collettiva nella modalità di intervento, non sarebbero in conflitto con praticamente nessun contratto collettivo rappresentativo. È esattamente questa la funzione del salario minimo legale nella maggior parte dei Paesi europei che lo hanno regolato: fungere da “pavimento” di ultima istanza, che interviene solo nei casi di abuso, essendo i salari medi e mediani già posizionati più in alto.

In Italia, invece, pur essendo elevata la copertura contrattuale e quindi non essendo dovuto alcun intervento legislativo poiché “i Paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere, rispetto agli altri Paesi, una percentuale inferiore di lavoratori a basso salario, salari minimi più elevati rispetto al salario mediano, minori disuguaglianze salariali e salari più elevati” (Relazione di accompagnamento alla Proposta di Direttiva relativa a salari minimi adeguati nell’Unione Europea, Bruxelles, 28 ottobre 2020), sembra che si voglia sperimentare un inedito intervento, contemporaneamente rivoluzionario (in peggio) verso la contrattazione collettiva e starato dal punto di vista economico. L’effetto facilmente intuibile è quello spiazzante: arrestare la crescita dei salari medi nei settori economici già posizionati su valori ben più elevati di 9 euro (si pensi alla metalmeccanica, alla chimica, al mondo bancario e assicurativo, ai servizi, alle professioni, ecc.) e accompagnare repentinamente verso l’uscita dal mercato o il nero le imprese ove vi sono lavoratori che percepiscono soglie inferiori a 9 euro.

D’altra parte, anche senza immaginare fuoriuscite dai sistemi contrattuali (evitate dal meccanismo di richiamo al trattamento economico complessivo dei contratti collettivi), perché mai le associazioni datoriali che nel proprio contratto prevedono minimi tabellari riconducibili a 14 o 15 euro all’ora dovrebbero concedere ai sindacati un’ulteriore crescita se è la stessa legge a chiarire che è equa una cifra sensibilmente inferiore?

Tuttavia, quello immaginato, potrebbe non essere un fastidioso corollario di un’iniziativa prettamente politica, come si è visto poco ancorata tecnicamente, bensì uno dei suoi principali intenti: finalmente la realizzazione di un’equità sul mondo del lavoro intesa come il riconoscimento a tutti dello stesso salario, perché ogni mansione e ogni professione è ugualmente degna e non vi devono essere differenze tra lavoratori. Un ritorno alle utopie novecentesche assolutamente legittimo, forse per alcuni sindacati e forze politiche addirittura ideale. Viene però da chiedersi se davvero equo e auspicabile per le persone che lavorano, prima ancora che per l’intera nostra economia.

(@EMassagli)

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