Prosegue la serie di approfondimenti dedicati al tema del salario minimo, aperta dall’articolo di Ferlini e Canavesi, a seguito della direttiva europea in materia

Nella proposta di direttiva che il Parlamento europeo e il Consiglio (COM(2020) 682 final) hanno predisposto per definire salari minimi adeguati al livello europeo ci sono almeno due punti che meritano particolare attenzione. Il resto è noto. È una proposta che non impone un salario minimo legale, ma promuove l’applicazione di un salario minimo adeguato secondo l’impostazione che il sistema nazionale di relazioni industriali ha costruito nel tempo. 



I due punti su cui ci si concentra sono i seguenti: da una parte, l’art. 10, e dall’altra, l’art. 9. Muoviamo, in primo luogo, dall’art. 10 della proposta di direttiva. Gli Stati membri, nella fase attuativa della direttiva, dovrebbero incaricare autorità competenti a effettuare il monitoraggio della copertura contrattuale e contestualmente il monitoraggio dell’adeguatezza del salario minimo normalmente applicato a livello domestico. Il che non è da considerarsi un fatto marginale. Anzi, il monitoraggio e la raccolta dei dati è alla base dell’introduzione a livello nazionale dell’eventuale legislazione che fissa i salari minimi. 



Ciò significa che qualora la copertura della contrattazione collettiva non superasse il 70% dei lavoratori in un certo settore, il legislatore nazionale sarebbe tenuto, proprio in ragione della direttiva, a introdurre un salario minimo per via legislativa in alternativa – come nel caso italiano – a quello derivante dall’applicazione dei contratti collettivi. 

Si noti, a tal proposito, che nelle maglie della direttiva riscontriamo che il legislatore nazionale dovrà porre a disposizione delle autorità europee, con riferimento al triennio che precede l’introduzione della direttiva e, poi, periodicamente, i dati riferibili alla copertura contrattuale. I problemi che derivano dall’art. 10 della proposta di direttiva possono essere sintetizzati con una serie di domande. 



La prima domanda è relativa alla metodologia (come si calcola il 70% di copertura?). La seconda è relativa all’ambito soggettivo da tenere in considerazione per il calcolo del 70% (quale perimetro/settore? Cosa si prende a riferimento per calcolare il 70%?). La terza domanda attiene a chi deve svolgere questa verifica e monitoraggio della copertura contrattuale (quale autorità competente dovrà svolgere tale verifica?). 

Per ciascuno di questi problemi ci si trova innanzi a una serie di possibili risposte, le quali sono ahinoi foriere di ulteriori complicazioni. Per esemplificare si prova qui elencare alcune di esse. Ponendosi da subito la domanda relativa alla metodologia (come svolgere il monitoraggio dei dati?), visto che sussiste l’obbligo di analisi preliminare sul triennio che precede l’introduzione della direttiva, si dovrà risolvere preliminarmente la complicazione derivante dalla selezione dei contratti collettivi in relazione a cui tale copertura si misurerà. Con altre parole, si dovrà decidere se il tasso di copertura attiene esclusivamente ai Ccnl sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative o anche ai Ccnl sottoscritti dalle organizzazioni minori. 

La seconda domanda (qual è il perimetro da tenere in considerazione per la misurazione della copertura?) ci pone davanti a una complicazione nota. Ci si chiede, con altre parole, quale sia il denominatore che permette di definire quel 70%. Sbagliare il perimetro potrebbe significare non identificare correttamente il 70%, con l’effetto di dover introdurre per via legislativa il salario minimo. La terza domanda riguarda il soggetto deputato a svolgere tale monitoraggio. Il Cnel, data la relativa rilevanza costituzionale e il già esistente archivio dei Ccnl, dovrà certamente svolgere tale funzione. Il che comporterà un coordinamento con il ministero del lavoro, l’Istat e l’Inps.

Osserviamo, in secondo luogo, l’art. 9 che è relativo al collegamento tra appalti pubblici, operatori economici transnazionali e distacco del personale a livello europeo (Direttiva 96/71/CE; Direttiva 2014/67/UE). L’art. 9 stabilisce che gli operatori economici nell’esecuzione degli appalti pubblici dovranno conformarsi al salario minimo definito per via legislativa o per via contrattuale. Si tenga in considerazione che generalmente negli appalti cross border il personale viene distaccato secondo le regole europee, le quali sono ancora parzialmente oggetto di una tortuosa vicenda interpretativa innanzi alla Corte di giustizia (tra cui, Corte Giust. 3 aprile 2008, causa C-346/06, Ruffert). A tal proposito, l’ordinamento italiano dovrà comprendere come ben combinare l’applicazione della direttiva sul salario minimo con la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha stabilito il principio secondo cui, nell’ambito degli appalti pubblici, il salario minimo si possa imporre per i lavoratori distaccati solo se esso sia fissato per legge, e non per contratto collettivo (Corte Giust. 17 novembre 2015, causa C-115/14, Regiopost). In quest’ottica, nei prossimi anni è immaginabile che, anche in ragione dei programmi collegati a Next Generation Eu, gli appalti pubblici transnazionali saranno sempre più significativi in Italia e che molte imprese europee decideranno con più interesse di partecipare alle nostre gare a evidenza pubblica. 

Per questo problema si potrebbe ipotizzare di avviare, a livello europeo, anche nella fase di approvazione della proposta di direttiva, un dibattito su possibili soluzioni che richiamano ciò che, nella legislazione statunitense, è stato introdotto con il Fair Labor Standards Act (Flsa). In particolare, il Flsa impone che il salario minimo legale sia applicato esclusivamente ai lavoratori subordinati che, direttamente o indirettamente, hanno un collegamento con i rapporti commerciali tra Stati della federazione (cd. interstate commerce). Una regola simile, se applicata in Europa, potrebbe permettere di avere, nei Paesi membri che non hanno un salario minimo legale, tra cui l’Italia, una doppia struttura di salario minimo. Da una parte, continuerebbe a operare normalmente il meccanismo del salario minimo collegato all’applicazione dei Ccnl, dall’altra, invece, si sarebbe costretti a introdurre un salario minimo legale esclusivamente per i lavoratori distaccati a livello europeo negli appalti pubblici. Il che permetterebbe di bilanciare la tradizione delle relazioni industriali italiane (tendenzialmente non incline a avere un salario minimo fissato per legge) con la necessità di avere a disposizione anche una normativa che, in casi eccezionali (lavoratori distaccati), possa supportare l’applicazione di un salario minimo legale. 

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI

Leggi anche

SALARI E POLITICA/ Le due strade davanti all'Italia per sconfiggere il lavoro poveroSINDACATI E CONTRATTI/ La risposta a salario minimo e inflazioneSPILLO SINDACALE/ Gli errori di Landini e Bombardieri sulla rappresentanza