COS’È E COME FUNZIONA IL SALARIO MINIMO IN ITALIA

Il salario minimo in Italia non è solo una proposta divenuta “bandiera” di M5s e Pd: come visto nelle ultime ore con la direttiva Ue approvata a Bruxelles, l’Europa punta dritto ad un accordo di massima con tutti i 27 Paesi per ottenere salari minimi adeguati nell’area Ue.



Va ricordato che per salario minimo si intende la retribuzione di base per i lavoratori di differenti categorie, stabilita per legge, in un determinato arco di tempo: significa che tale salario non può essere ridotto nella cifra di base da contratti privati o accordi collettivi. In termini più pratici, il salario minimo è la soglia “limite” sotto la quale qualsiasi datore di lavoro non può mai scendere, pena sanzioni civili e penali. Ad oggi, sono 21 gli Stati su 27 che hanno già varato una legge sul tema mentre i 6 rimanenti – Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia e ovviamente Italia – al momento affidano l’individuazione della paga di base per i lavoratori ai contratti collettivi delle diverse categorie. Ebbene, in origine con il tavolo di lavoro avviato dall’ex Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (M5s) e ora con un ddl tornato in auge per la spinta dell’ex Premier Conte, anche in Italia si torna a parlare di salario minimo: l’asse Pd-5Stelle punta ad approvare la legge già in questa legislatura, ma trovare un accordo nella vasta e “variopinta” maggioranza del Governo Draghi non appare affatto semplice.



ITALIA E RESTO D’EUROPA: IL CONFRONTO SUL SALARIO MINIMO

Come informa lo studio realizzato da INAPP per la Camera dei Deputati nel 2020, «In Italia il salario orario lordo mediano dei lavoratori dipendenti, riferito alle posizioni lavorative nei settori privati non agricoli, è pari a 11,2 euro. Si registrano differenze nel salario anche rispetto al regime orario di lavoro e al tipo di contratto: i lavoratori a tempo parziale percepiscono un salario orario mediano inferiore di oltre l’11% rispetto al totale. I lavoratori a tempo determinato scontano un salario mediano inferiore dell’8,7% rispetto al totale».



Ciò significa che di passi ancora per arrivare all’ipotesi di un salario minimo adeguato, come vuole l’Europa, ne servirebbero molti in Italia: sempre che ovviamente si decida di aderire alla direttiva europea, abbandonando la scelta delle contrattazioni collettive. Il confronto rispetto agli altri Paesi Europei è molto particolare: detto che nel calcolo dei salari minimi ogni singolo Stato deve tenere conto di vari parametri, come il PIL, l’indice dei prezzi di consumo, l’andamento dell’economia nazionale e continentale, infine anche la produttività intrinseca. I risultati sono però molto diversi da loro, con salari minimi (retribuzioni minime mensili lorde) che vanno dai 2.141,99 euro del Lussemburgo ai 311,89 euro della Bulgaria. Osservando i Paesi più “simili” all’Italia secondo quegli stessi parametri, si scopre che in Francia il salario minimo fissato è di 1.539,42 euro, in Germania è 1.584 euro, in Olanda 1.680 euro e in Spagna 1.108,33 euro.

SALARIO MINIMO IN ITALIA, COME CAMBIA ORA LO SCENARIO DOPO LA DIRETTIVA UE

A Conte e Orlando che appoggiano l’iniziativa Ue per l’introduzione di un salario minimo – «Sul salario minimo vedo aperture positive da tutte le parti», ha detto il Ministro del Lavoro in quota Pd – replicano il Ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta che invece boccia la norma: «Il salario minimo legale va contro la nostra storia culturale di relazioni industriali. Il salario deve corrispondere alla produttività». Anche Lega e Fratelli d’Italia si oppongono, spingendo invece a de-tassare il lavoro e ridurre il cuneo fiscale per andare incontro ai lavoratori nel pieno della crisi: «il salario minimo è un’arma di distrazione di massa», ha commentato Giorgia Meloni. Con la direttiva approvata in Europa è evidente che la pressione da Bruxelles su Roma e sugli altri 5 Paesi, che ancora non hanno materia di legge vigente sul tema, si fa assai impellente. La direttiva europea punta a dare un «quadro di azione agli Stati membri dell’Unione Europea» per organizzare e stabilire salari minimi adeguati ed equi, «rispettando le diverse legislazioni nazionali e rafforzando il ruolo della contrattazione collettiva». Gli obiettivi sono due, in opposizione: o un salario minimo legale oppure una contrattazione collettiva tra lavoratori e datori di lavoro per portare la copertura della contrattazione in una soglia tra il 70% e l’80%. Ciò significa che nei prossimi mesi, i tavoli tra parti sociali (sindacati) e politica dovranno intensificarsi, con l’aggiunto problema (non da poco) di una non condivisione della materia stessa all’interno della maggioranza di Governo.