Nelle scorse settimane è stato rilanciato nel nostro Paese il dibattito relativo alla possibile introduzione del salario minimo legale. Come sempre in questi casi è certamente interessante guardare, per poi adeguarle al contesto italiano, le esperienze dei Paesi che hanno già adottato questa misura, a partire da quelli dell’Unione europea, per individuare possibili punti di forza e criticità.



Sicuramente utile, in questa prospettiva, la lettura del rapporto annuale di Eurofound, la fondazione europea sulle condizioni di lavoro, sul salario minimo. In questo quadro emerge, ad esempio, che sebbene i salari minimi siano aumentati notevolmente tra il primo gennaio 2021 e il primo gennaio 2022 in termini nominali, non altrettanto significativo è stato l’impatto nella vita reale se si tiene conto, in particolare, dell’aumento dell’inflazione registrato.



Nello stesso periodo, infatti, i lavoratori con salario minimo “legale” in 15 dei 21 Stati membri, dove questo è già previsto, hanno registrato un calo dei loro salari in termini reali. Gli studi più recenti indicano, per altri aspetti, che solo in Danimarca, Lettonia e Norvegia si stanno svolgendo dibattiti significativi, che stanno coinvolgendo tutti i principali stakeholders, per meglio comprendere come poter promuovere la contrattazione collettiva e aumentarne il grado di copertura, un elemento ritenuto centrale per l’implementazione della nuova direttiva dell’Unione europea sul salario minimo e che sarà un requisito fondamentale per le nuove scelte nazionali.



I salari minimi possono, inoltre, secondo le più rilevanti ricerche svolte a livello europeo, svolgere un ruolo fondamentale nel ridurre la crescente disuguaglianza salariale. A titolo esemplificativo, i risultati relativi alla Spagna evidenziano l’impatto (probabile?) dell’aumento del salario minimo nel 2019 sulla significativa riduzione della disuguaglianza salariale.

Da un’analisi, insomma, complessiva che guardi a tutti gli aspetti, e le loro ricadute specialmente in termini economico e sociali, dovrà necessariamente partire la costruzione del percorso che dovrebbe portare alla definizione anche nel nostro Paese del salario minimo.

Uno studio che dovrà essere necessariamente (anche) comparativo, ma che, è da auspicarsi, non miri a trovare un modello ideale che si cercherà di copiare “sic et simpliciter” nel nostro ordinamento. Troppe esperienze, anche del recente passato, ci raccontano, infatti, che non vi sono soluzioni magiche buone per tutti i Paesi, e tutti i contesti, e che il “copia e incolla” acritico è una cattiva pratica non solo per gli studenti svogliati, ma, talvolta, anche per i legislatori.

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