Con la nomina a ministro del Lavoro della senatrice Nunzia Catalfo – che del gruppo parlamentare M5s è la prima firmataria del Ddl sul salario minimo legale – la questione della paga oraria minima torna al centro non solo del dibattito, ma anche dell’agenda politica.
Sulla questione, come abbiamo più volte scritto, val la pena di ricordare che, sebbene 22 degli Stati membri Ue abbiano adottato tale misura, l’Italia non l’ha trascurata perché in ritardo, ma semplicemente perché l’alta copertura (quasi 90%) che i contratti nazionali danno ai rapporti di lavoro non ne ha ad oggi richiesta l’attuazione, fino a quando, in particolare negli ultimi 5/6 anni, non sono esplosi i cosiddetti contratti pirata e gli abusi sui/sulle braccianti sono diventati un fenomeno sociale di dimensioni sempre più preoccupanti. Da qui l’idea di definire una retribuzione minima oraria per via legale.
L’intento dalle buone motivazioni ha incontrato lungo il suo (breve) percorso legislativo sempre la stessa difficoltà. Già ai tempi del Jobs Act – fu l’unica delega che non ebbe attuazione – le parti sociali, Confindustria in particolare, frenarono; più recentemente, la Lega non ne era convinta (perché più del M5s “sentiva” l’umore degli industriali, che non è cambiato). A dire il vero, anche i sindacati in più di un’occasione – anche in audizione in Parlamento – hanno manifestato la loro contrarietà; salvo che la misura non interessi quelle aree scoperte dalla contrattazione collettiva (quel 10%, appunto, di cui sopra) o dove Ccnl non sono applicati e, parallelamente, si riconosca per legge l’efficacia erga omnes ai contratti collettivi nazionali di lavoro. Oggi si riparte da qui, da questi due presupposti.
Non c’è dubbio che, se il governo centrasse un simile risultato, sarebbe un’operazione dai risvolti, anche politici, molto importanti. Resta il fatto che dare efficacia erga omnes ai contratti collettivi è una cosa che conosce qualche criticità perché, come abbiamo già scritto, non è semplice individuare – tra i Ccnl esistenti – quelli a cui affidare la tutela dei livelli retributivi minimi. Naturalmente, ciò può avvenire solo una volta definiti i criteri di rappresentatività. Ma il perimetro della misurazione della rappresentatività deve essere l’azienda o il settore merceologico?
Come si evince, il discorso ha una sua complessità di fondo che non renderà una passeggiata l’individuazione delle soluzioni. Vi è, però, un elemento che potrebbe far decollare la misura: oggi entrambe le forze che compongono l’esecutivo vogliono sottrarre allo sfruttamento persone che guadagnano 3-4 euro l’ora, ciò che separa M5s e Pd sono soltanto le modalità con cui implementare il salario minimo.
L’occasione è rilevante per tutti, può infatti rinsaldare quel legame che da tempo si è allentato con le rappresentanze sociali se, naturalmente, non prescinde dal riconoscere per legge l’efficacia erga omnes dei contratti. Ecco perché la vicenda può conoscere un lieto fine. A patto che si sia capaci di procedere diversificando e non uniformando.
Twitter: @sabella_thinkin