Prosegue la serie di approfondimenti dedicati al tema del salario minimo, aperta dall’articolo di Ferlini e Canavesi, a seguito della direttiva europea in materia
L’articolo sul salario minimo di Ferlini e Canavesi ci trova pienamente d’accordo in quanto evidenzia le lacune di tale istituto rispetto a quanto è possibile con la contrattazione. La posizione del sindacato italiano è chiara da anni. La contrattazione fatta dalle strutture di Cgil, Cisl e Uil, copre oltre l’85% dei lavoratori italiani e sarebbe molto più positivo prendere questi contratti a riferimento dei minimi di paga. Come l’articolo evidenzia bene, inoltre, nei costi dei contratti maggiormente rappresentativi sono compresi gli aspetti pensionistici e di welfare, cosa che un salario minimo orario generalmente non contempla, né in Italia né all’estero. Il tanto vituperato mondo sindacale italiano alla fine dei conti garantisce una delle più alte percentuali di copertura contrattuale dei lavoratori e il pluralismo che sta alla sua base permette a tutt’oggi di avere un elevato numero di iscritti, che consentono tutele e servizi anche a molti non iscritti. Il ruolo sociale e di assistenza dei sindacati italiani nel loro complesso è pressoché unico in Europa e negli altri Paesi occidentali. Il sindacato italiano porta questa sua posizione anche dentro il sindacato europeo, dove alcuni sono più possibilisti, anche rispetto a un sistema socio-economico profondamente diverso.
Vi è un tema importante, che l’articolo accenna e che è cresciuto negli ultimi anni, quello dei contratti pirata. Viene spiegato che la metà degli oltre 800 Ccnl registrati al Cnel non sono stipulati dalle Federazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil e dalle rispettive federazioni di Confindustria, degli artigiani, della cooperazione, ecc., delle parti datoriali; vi è quindi un incredibile numero di pseudo sindacati dei lavoratori e datori di lavori che “stipula” finti contratti, tutti al ribasso, senza avere alcuna vera rappresentatività. Un salario minimo stabilito per legge, nel contesto italiano, favorirebbe questa corsa al ribasso, tanto più in un sistema imprenditoriale frammentato e pieno di micro-imprese.
Vi sono firmatari dei contratti pirata che hanno un unico indirizzo, sia per l’associazione datoriale che per quella dei lavoratori, che è anche l’unica sede per tutta l’Italia, spesso presso un commercialista di comodo. Basterebbero questi piccoli particolari per capire che quel contratto è farlocco, ma il Cnel non può far altro che registrarli. Nella lotta ai contratti pirata sicuramente si può fare di più, a cominciare dalle ispezioni del lavoro e questo è un problema che va adeguatamente affrontato.
Cgil, Cisl e Uil hanno da tempo avviato anche un percorso contrattuale di riconoscimento della reciproca rappresentatività, con tutte le grandi associazioni datoriali. Questo percorso, per quanto lento, si sta gradualmente perfezionando e quindi non vi è il bisogno di una legge per la certificazione della rappresentatività, come da alcune parti richiesta ma da sempre avversata dalla Cisl, portatrice di una cultura di piena autonomia delle parti sociali.
È quindi importante il riconoscimento erga omnes dei contratti nazionali firmati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, perché ciò garantirebbe l’estensione a tutti i lavoratori del settore interessato non solo dei minimi salariali, ma anche degli altri istituti contrattuali, dal welfare allo straordinario, dai riposi alle ferie, dalla previdenza integrativa ai fondi per la formazione, ecc., istituti che vengono in gran parte disattesi proprio dai contratti pirata.
Alcuni obietteranno che mancano all’appello all’incirca il 15% dei lavoratori. In parte la soluzione sarebbe facile, potendo stipulare dei contratti specifici, come è anche avvenuto per i rider, che sono figure previste nel contratto nazionale del settore trasporti, ma che volutamente non viene spesso ripreso a riferimento per i costi.
I supporter del salario minimo per legge hanno spesso l’obiettivo di abbattere i costi e indirettamente anche le tutele dei lavoratori, dietro la falsa illusione di semplificazione e creazione di lavoro. L’esperienza dei voucher in parte ci ha già dato risposte. Possono essere validi per lavori saltuari, ma non hanno rappresentato la soluzione. La strada maestra deve essere quella del riconoscimento erga omnes dei contratti stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, che per i lavoratori italiani sono indubbiamente Cgil, Cisl e Uil.