FAVA: “IL MINIMO SALARIALE IN ITALIA È GIÀ PREVISTO DALLA CONTRATTAZIONE COLLETIVA”

Lo scorso 3 luglio all’Università Roma Tre la conferenza “Inflazione e salari, quali politiche? L’urgenza di analisi informate e azioni efficaci” ha visto tutti assieme uniti sulla battaglia per il salario minimo da approvare a livello nazionale i leader di Pd, M5s, Cgil e Uil (rispettivamente, Schlein, Conte, Landini e Bombardieri). Il Governo Meloni, specie con il vicepremier Tajani, ha risposto con forza che ad oggi il tema di emergenza nazionale sul fronte lavoro non è affatto derivante dalla mancanza di un salario minimo ma da legislazioni burocratiche “ostili” oltre all’enorme pressione fiscale esistente sul mondo del lavoro.



A provare a spiegare però in maniera semplice e tecnica allo stesso tempo sulla non utilità del salario minimo si è cimentato sul sito “Nicolaporro.it” Gabriele Fava, avvocato milanese e fondatore dello Studio Legale Fava & Associati, riconosciuto però nel mercato nazionale come uno dei massimi esperti del panorama giuslavoristico. «Sembrerebbe non considerare assolutamente le moltissime variabili di un mercato così complesso come quello del lavoro», sottolinea l’esperto sgombrando subito il campo da equivoci legati all’ultima Direttiva Ue sui salari minimi adeguati in Unione Europea. Secondo Fava, «essa non prevede come si vorrebbe far credere, un obbligo di introduzione del salario minimo nei Paesi che ancora non lo prevedono ma impone agli Stati membri in cui la copertura della contrattazione collettiva non raggiunga almeno il 80% dei lavoratori, di prevedere un quadro per la contrattazione collettiva e di istituire un piano d’azione per promuoverla per garantire che i salari minimi siano fissati ad un livello adeguato». Questo già il primo punto per cui il salario minimo in Italia non avrebbe molto senso, in quanto fra i Paesi Ue il nostro è quello con la più alta copertura contrattuale: «Nel nostro paese minimi salariali sono già previsti dalla contrattazione collettiva in coerenza con il dettato costituzionale (art. 41)».



IL GIUSLAVORISTA GABRIELE FAVA SPIEGA PERCHÈ IL SALARIO MINIMO NON HA SENSO IN ITALIA

Per questi motivi, si chiede Fava, la battaglia per un salario minimo avanzato dalla sinistra sembra davvero demandare quasi del tutto il ruolo del Sindacato e Corpi intermedi nonché della contrattazione collettiva. La Carta Costituzionale stabilisce che «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro». Le variabili sono la quantità e la qualità del lavoro, stando poi al mercato il compito di «stabilire tale minimo salariale tramite la contrattazione collettiva». Ebbene, come ricorda il giuslavorista, in Italia nessun settore risulta sprovvisto di contratto collettivo.



«Una legge che impone un minimo legale va – inevitabilmente – a contrastare con la libertà negoziale che i medesimi sindacati hanno sempre voluto e preteso», sottolinea ancora Gabriele Fava al sito diretto da Nicola Porro. Tra l’altro nella maggior parte dei contratti collettivi il minimo salariale è superiore alla cifra di 9 euro lordi all’ora ritenuto il “salario minimo da fissare” secondo le proposte di Pd e M5s. Una misura del genere, prosegue l’esperto, avrebbe quale unica conseguenza «l’aumento del tasso di disoccupazione, l’incentivazione del ricorso al lavoro irregolare nonché il rischio che molte attività marginali svolte dalle imprese italiane possano cessare per far fronte all’aumento di costi quale diretta conseguenza dell’introduzione del salario minimo legale». Non solo, si rischia anche un aumento dell’inflazione secondo Fava in quanto «non appare remota la possibilità che le imprese riversino i maggiori costi del lavoro sui consumatori, determinando un aumento dei prezzi ulteriore rispetto a quello che già si è già di recente verificato». Insomma, il salario minimo se introdotto rischierebbe di colpire proprio coloro che si prefigge di voler aiutare, i lavoratori: «La conclusione porta inevitabilmente alla conferma della inutilità e/o ridondanza del fantomatico salario minimo, soprattutto alla luce del fatto che le proposte sul tavolo rischiano di creare un sistema che, benché sembri incentrato su principi di uguaglianza, finirebbe per garantire i lavoratori solo dal punto di vista formale ma non sostanziale».