Da inizio settimana l’euro è sceso sotto la parità nel cambio con il dollaro e sembra incapace di ritornare sopra quota 1. Per la moneta unica è un ritorno alle “origini”: è infatti da 20 anni che non si toccavano tali minimi. E non è da escludere che possano essere aggiornati.

Come ricorda Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, «questo andamento negativo dell’euro nei confronti del dollaro ha essenzialmente due cause. La prima è una debolezza dell’Europa, la seconda è un’apparente forza degli Stati Uniti. Insieme, questi due fattori hanno determinato uno sbilanciamento che negli ultimi 3-4 mesi ha portato la moneta unica a perdere più del 10% nei confronti del biglietto verde». 



Qual è la debolezza dell’Europa che determina il deprezzamento dell’euro?

L’Europa politicamente non sembra in grado di esprimere una vera e propria strategia, né in campo energetico, né più in generale in campo macroeconomico, dove peraltro ha anche creato il Next Generation Eu. La Bce cerca di agire in maniera salomonica, ma il suo non è un compito facile, perché c’è una crisi da evitare. In politica estera, poi, sono sostanzialmente gli americani a finanziare l’Ucraina, mentre l’Europa va a rimorchio, senza una vera visione su questo Paese alle proprie frontiere.



Perché ha parlato di apparente forza degli Stati Uniti?

I mercati si sono fatti l’idea, forse anche per una sorta di consuetudine rispetto ai momenti di forte incertezza del passato, che gli Usa riprenderanno a crescere, anche se non ci sono elementi reali che portino con certezza a questa conclusione. In questi giorni si tiene l’annuale simposio di Jackson Hole, in cui solitamente la Fed illustra la propria strategia: sapremo, quindi, presto quali saranno le prossime mosse della Riserva Federale. 

In questi giorni si rincorrono gli allarmi delle imprese rispetto ai costi dell’energia e il prezzo del gas ha raggiunto nuovi massimi. Considerando che siamo ancora ad agosto, la situazione può ulteriormente peggiorare?



Il mercato Ttf di Amsterdam, dove si negoziano i futures sul gas, influenza tutti i prezzi energetici europei. Sono dell’idea che questo mercato, dove si tratta una materia prima così fondamentale, debba essere meglio regolato, in modo che non si verifichino scossoni nei prezzi come quelli visti negli ultimi giorni e che ci sono stati anche nei mesi scorsi. Bisogna fare in modo che ci sia maggior trasparenza e una presenza istituzionale che possa comprare e vendere in controtendenza, senza voler realizzare utili, ma con lo scopo preciso di stabilizzare il prezzo, naturalmente non in maniera rigida, perché se il mercato va in una certa direzione è inutile opporsi. Stiamo vedendo, però, cosa succede quando ci sono questi picchi, che magari subiscono correzioni nei giorni immediatamente successivi: si creano tensioni, allarmi che finiscono anche sui media, con ricadute negative sulla tendenza a investire.

Abbiamo addirittura il Presidente di Confindustria che chiede di affrontare la predisposizione di un eventuale piano di razionamento…

Fino a una decina di giorni fa in Italia non si parlava di razionamento. Ed effettivamente sul fronte del gas sembra che si stia facendo un buon lavoro, sia tramite gli accordi con i Paesi produttori, sia con il riempimento degli stoccaggi, arrivato ormai sopra l’80%. Tuttavia, qualche problema potrebbe esserci per il petrolio che dal Kazakistan tramite l’oleodotto Cpc, attraversando anche il territorio russo, con le sue diramazioni raggiunge l’Italia: nei giorni scorsi si è infatti saputo che verranno ridotte le consegne di circa il 75% a causa di “imprescindibili riparazioni”. Questo fa sì che la nostra posizione energetica sia un po’ meno solida rispetto a prima, non certo però come quella della Germania.

In effetti, la situazione tedesca sembra peggiore della nostra.

C’è da dire che se la Germania dovesse riscontrare restrizioni serie, non gravi, il prossimo inverno, e noi avessimo ancora una situazione energetica migliore, il suo sistema industriale potrebbe chiedere al nostro di svolgere alcune operazioni produttive che è impossibilitata a realizzare, e questo potrebbe aiutare la nostra economia.

Le prospettive per la nostra economia, tra l’altro, non sono rosee. Oltre all’intervento sul mercato Ttf di cui ha parlato poco fa, pensa occorra qualche misura di carattere nazionale?

Si potrebbe ipotizzare un intervento leggero per cercare di contenere i prezzi entro certi limiti, compatibili con le esigenze dei produttori, ma che consentano al mondo imprenditoriale di poter tornare a fare dei piani sul proprio futuro. Del resto non dobbiamo dimenticare che per tantissimi anni nel nostro Paese il prezzo dei carburanti è stato fissato per legge.

Intanto si sta riducendo il nostro surplus commerciale e la bilancia dei pagamenti in Germania è già passata in deficit. Questo può rappresentare un problema?

Non gravissimo. Da questo punto di vista sono più preoccupato dalla situazione tedesca che non da quella italiana, perché la Germania in questi anni si è concentrata molto sull’automotive, su fasce di industria meccanica molto precise, tralasciando largamente l’elettronica, quindi l’economia non sembra avere una base ottimale per il futuro. Questo ci ricorda che è fondamentale che l’Europa scelga presto che tipo di politica industriale vuole perseguire per il proprio domani.

(Lorenzo Torrisi)

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