TORINO – Partecipare al Salone del Libro di Torino potrebbe rappresentare un rischio, quello di intervenire a un rito di massa effimero e transitorio, una ininfluente liturgia obbligatoria, tanto più in un anno come questo, in cui la folla accorrente è in aumento. Lo capisce bene chi ci lavora, passandoci l’intera giornata: più gente c’è, più crescono la stanchezza e il rintronamento a fine giornata, assieme al dubbio che ne sia valsa la spesa, come mi dicono diversi editori, soprattutto i piccoli. In realtà andare a Torino al Salone del Libro è un’esperienza comunque stimolante, soprattutto se non si perde il contatto col protagonista del Salone, il libro, e i suoi servitori: editori, scrittori, lettori. Il rischio c’è, perché a occupare la scena sono spesso i personaggi importanti della politica e dello spettacolo, che forse sono il prezzo da pagare per richiamare tante persone.



Anche quest’anno, appena entrato, l’impatto col Salone del Libro di Torino è impressionante e vivificante: i quattro enormi padiglioni del Lingotto, la storica fabbrica della Fiat riconvertita in Palazzo della Fiera, sono occupati da centinaia di stand delle case editrici e i percorsi centrali, rettilinei e perpendicolari, sono solcati da migliaia di persone di tutte le età e provenienze. Strano paradosso: le vendite dei libri dell’ultimo periodo hanno subito l’ennesima flessione, mentre qui il pubblico aumenta. Il Salone sembra essere uno spazio illogico in cui i due attori coprotagonisti del mercato librario e padroni del destino degli scrittori, editori e lettori, si trovano gomito a gomito, potrebbero parlarsi e sostenersi ma, misteriosamente, i dati mostrano che non si capiscono. Soprattutto che i grandi editori aziendali capiscono sempre meno i lettori.



Passeggiando per i padiglioni del Salone del Libro di Torino con gli occhi bene aperti, cerco in diretta una risposta. Costeggio uno stand superaffollato, con la gente che deborda oltre il suo perimetro. Starà parlando un vip? Mi avvicino per capire e scopro che stanno presentando una nuova edizione di traduzioni delle poesie di Catullo. Nessuna persona famosa, se non un antico poeta romano; nessun inseguimento di libri feticci consigliati magari da un influencer, bensì cultura pura. La stessa situazione si ripeterà venerdì pomeriggio addirittura allo stand della Regione Friuli che ospita lo spazio poesia, dove una folla che in gran parte non ha trovato neppure dove sedersi ascolta Milo De Angelis presentare la sua ultima traduzione di Baudelaire. Ecco una possibile risposta.



Poi vanno bene anche i vip, per carità. Quest’anno la settimana torinese del Salone del Libro è iniziata col botto, ospitando lo scrittore settantaseienne iraniano Salman Rushdie, il cui libro I versi satanici gli procurò una fatwa, cioè una condanna religiosa in contumacia, dell’allora leader supremo della Repubblica Islamica, l’Ayatollah Khomeini, e la caccia all’uomo nei suoi confronti pare essere tuttora in vigore. Rushdie si è presentato assieme a Roberto Saviano, a dimostrazione di quali siano attualmente gli autori italiani con un riscontro internazionale, e non ha mancato di rimproverare il Presidente del Consiglio, come da copione.

Altri personaggi hanno solcato i viali del Salone del Libro di Torino, oltre alla sfilata dei ministri. Nello stand di un grande quotidiano nazionale spicca una nuvola di persone affastellate intorno a un’altra nuvola, piccola e particolare, che sta al centro: si tratta della capigliatura grigio-lilla e riccioluta del talentuoso musicista Giovanni Allevi, che continua a portare la testimonianza limpida e commovente della malattia che gli impedisce di suonare, attirando l’ascolto altrettanto commosso di tante persone. Anche Roby Facchinetti, dei Pooh, attira un notevole pubblico in uno stand non troppo lontano, dimostrando che i musicisti sanno farsi ascoltare anche quando non fanno musica. E infatti uno dei più scatenati è Gino Paoli allo stand della Regione ospite, quest’anno la Liguria. Esprime in forma poetica e rude assieme, com’è nello stile suo e della sua gente, verità anche scomode sulla sua carriera e la sua categoria. È un misto di tenerezza e tragedia, tratto tipico degli artisti suoi conterranei, da Villaggio a Tenco, fino a Da André; conclude con un inno alla bontà e, assieme, dicendo che il mondo è in mano alla cattiveria.

Insomma il bastimento del Salone del Libro di Torino ha iniziato la sua rotta, frangendo le onde tumultuose del presente del libro, mentre la festa continua, gli ospiti ballano e i suonatori li intrattengono. Vedremo i prossimi giorni come proseguirà il viaggio e se raggiungerà qualche porto sicuro per il destino della lettura in Italia.

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