FONTANA SCIOGLIE IL GIURÌ D’ONORE: CAPITOLO FINALE SULLA VICENDA MES?
Questo pomeriggio il Presidente della Camera Lorenzo Fontana ha sciolto il Giurì d’onore, invocato da Giuseppe Conte sulle dichiarazioni di Giorgia Meloni in merito al Mes (tenute al Senato lo scorso 13 dicembre 2023): la decisione finale è stata resa nota dalla vicepresidente di turno Anna Ascani (Pd), precisando di come la Presidenza «prende atto della richiesta di Conte, pervenuta mercoledì, di immediato scioglimento della Commissione». Il ritiro dell’istanza effettuato dal leader M5s, giunta perché a suo parere sono «venuti meno i criteri di imparzialità che avrebbero dovuto ispirare i lavori», rischia di aver posto fine definitiva al caso politico tutto interno all’asse Meloni-Conte.
Incontrando a Montecitorio in via ufficiale il presidente del Giurì d’onore Giorgio Mulè, Fontana lo avrebbe ringraziato «per l’accuratezza e la precisione del lavoro svolto e per la perfetta aderenza al regolamento della Camera della procedura seguita per giungere alla relazione finale», riporta l’ANSA. Da suo parere, afferma Mulè con i giornalisti presenti alla Camera, «il lavoro fatto fin qui finirà al macero». Pesano a questo punto gli scontri politici avvenuti negli ultimi giorni e quel retroscena – finora ancora non smentito dalle parti in causa – rispetto alle chiamate e “pressioni” del Presidente grillino ai vertici dem per insistere su non precisate mosse da prendere sul Giurì d’onore. In questo modo, tra l’altro, non si avrà la verifica stessa sull’esatta cronologia riguardo la firma della riforma Mes in Europa da parte del Governo Conte-2.
MES-MELONI-CONTE: GIURÌ D’ONORE VERSO LO SCIOGLIMENTO. COS’È SUCCESSO
Doveva arrivare venerdì la sentenza finale del Giurì d’onore sul caso Meloni-Mes – le dichiarazioni della Premier in Parlamento contro il Governo Conte-2 dello scorso 13 dicembre – e invece ora rischia di saltare tutto, tra accuse, contestazioni e “retroscena” che vedono Giuseppe Conte nuovamente protagonista assoluto. Come riportano le cronache dalla Camera, arrivate alle battute finali con la relazione dell’organismo istituito (su richiesta del Presidente del Movimento 5 Stelle) dal Presidente della Camera Lorenzo Fontana, il Giurì va letteralmente in pezzi perdendo praticamente tutti i membri in quota Centrosinistra.
Prima Stefano Vaccari (Pd) e Filiberto Zaratti (Avs) non si presentano all’ultima riunione, poi rassegnano le dimissioni con lettera indirizzata al presidente del Giurì d’onore, ovvero Giorgio Mulè (Forza Italia) e allo stesso Fontana. Poco dopo è Conte a chiedere con lettera ufficiale lo scioglimento completo dell’organo, in quanto «è stata compromessa l’imparzialità della Commissione». «Sorpreso e amareggiato» è il commento invece di Mulè in una nota, dove però conferma che il Giurì per il momento resta insediato nell’attesa di capire cosa deciderà Montecitorio per le prossime sedute.
LE TRE LETTERE “CONTRO” IL GIURÌ “NON PIÙ IMPARZIALE”: LA VERSIONE DELLA SINISTRA
«Il Giurì dovrebbe mantenere un profilo di terzietà», così scrive Vaccari, rappresentante Pd dimissionario dall’organismo della Camera, in una nota consegnata all’ANSA. E invece – osserva – nella relazione «che ci è stata sottoposta da Mulè sono prevalse motivazioni, ancorchè significative, di ordine politico e interpretative che contrastano con la realtà dei fatti accertati e rendono evidente la volontà della maggioranza di avvalorare la versione accusatoria di Meloni». Secondo il deputato Pd, la Commissione non può non evidenziare come il comportamento della Premier Meloni «sia stato contrario al rigore e al senso di responsabilità, ai quali deve ispirarsi il dibattito parlamentare anche di fronte ai contrasti più accesi».
Secondo Zaratti, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra, la ricostruzione documentale del Giurì d’onore sul caso Mes-Meloni-Conte «non può essere oggetto di interpretazioni di parte», eppure se nella prima parte i fatti sono esposti correttamente, «nella seconda parte si adducono motivazioni di ordine politico, finalizzate ad avvalorare le tesi accusatorie sostenute da Meloni. Dispiace constatare – sottolinea Zaratti – che la terzietà della Commissione d’indagine è così venuta meno». Conte poi prende carta e penna e scrive la lettera consegnata a mano a Fontana a Montecitorio, dove sottolinea «appreso con grave sconcerto che sono venuti a mancare i presupposti di terzietà e la possibilità di pervenire a una ricostruzione imparziale scevra da strumentali interpretazioni di mero carattere politico».
Imbarazzato e amareggiato il presidente del Giurì d’onore Mulè che replica con una nota dove evidenzia come «mai e in nessuna occasione, fin dalla prima seduta del 10 gennaio e per le successive 6, Vaccari e Zaratti avevano manifestato alcuna lagnanza, sollevato alcuna protesta, presentato reclamo, rispetto all organizzazione e all’evolversi dei lavori». Anzi, rammenta il deputato FI, fino a ieri gli esponenti di Pd e Avs «avevano sempre manifestato spirito collaborativo e istituzionale nell’assolvimento dell’incarico». Gli altri componenti del Giurì, Alessandro Colucci (Noi moderati) e Fabrizio Cecchetti (Lega) hanno poi aggiunto: «Fatichiamo non poco a comprendere le motivazioni delle dimissioni. Sino ad oggi, infatti, il confronto in commissione si era svolto in in clima molto positivo, di dialogo costruttivo». Secondo Mulè deve essere successo «qualcosa con il calare della notte. Saranno, se intendono farlo, Vaccari e Zaratti a spiegarlo».
IL RETROSCENA SUL GIURÌ D’ONORE: “PRESSIONI DI CONTE SUL PD”. IL RACCONTO DELLA NOTTE DOVE SALTA TUTTO
Qui sorge il “mistero” del caso politico consumato ieri e con conseguenze probabilmente anche nelle prossime settimane: davanti infatti alle accuse di Pd e Avs contro la dirigenza del Giurì d’onore sembrava palesarsi la consueta polemica dell’opposizione contro il Governo di turno, definito «non imparziale» nei modi di agire anche a livello istituzionale. Qui però il caso è forse più complesso di quanto sembri, almeno vedendo il retroscena riportato oggi dal “Corriere della Sera” che prova a ricostruire in poche righe quanto possa essere successo «con il calare della notte» tra il 6 e il 7 febbraio scorsi.
«Martedì la richiesta di Vaccari e Zaratti di sospendere i lavori è avvenuta dopo un concitato giro di telefonate, fatte e ricevuti dai due parlamentari», racconta il collega Francesco Verderami, esperto retroscenista parlamentare. Pare tra l’altro che i colleghi del Giurì abbiano ravvisato in Zaratti e Vaccari «un certo disagio», specie nell’esponente dem che era intenzionato a proseguire la Commissione. Secondo fonti rilasciate al “Corriere”, «il testo della sentenza era stato già interamente redatto ed era a conoscenza di tutto il Giurì». Ma allora cosa ha fatto scattare la rottura completa dell’organismo? Pare sia avvenuta durante l’ultimo esame del testo e a quel punto un autorevole esponente Pd che rimane anonimo, al “Corriere” confessa come negli ultimi giorni «si è avuta sul nostro partito una certa pressione politica da parte di Conte». Il leader M5s pare abbia telefonato praticamente a tutti i dirigenti dem, da Schlein a Franceschini e fino a Gualrieri: bocche cucite sui contenuti di quelle “pressioni” ma sarebbero quelle mosse ad aver provocato alla fine le dimissioni e la conseguente richiesta di scioglimento giunta ieri.
PERCHÈ CONTE AVEVA RICHIESTO IL GIURÌ D’ONORE (E CHE COS’È)
Il Giurì d’onore è un organismo previsto dall’articolo 58 del Regolamento della Camera, si tratta nello specifico di una commissione che può essere richiesta dai parlamentari quando «nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, egli può chiedere al presidente della Camera di nominare una commissione la quale giudichi la fondatezza dell’accusa». Il caso specifico riguarda quanto avvenuto il 13 dicembre scorso, durante le Comunicazioni alla Camera della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
In quell’occasione la Premier, replicando al dibattito, attaccò direttamente il Governo Conte-2 sul Mes (il Meccanismo Europeo di Stabilità) mostrando in sul il fax con cui l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il 20 gennaio del 2021, diede istruzioni all’ambasciatore a Bruxelles di sottoscrivere le modifiche al fondo salva-Stati dell’Ue. La riforma del Mes venne dunque siglata nei giorni della crisi di Governo che portò poi alla sfiducia in Aula e alla salita a Palazzo Chigi di Mario Draghi: l’accusa di Meloni è che le modifiche e la riforma del Mes vennero adottate dall’Italia in un contesto di sfiducia politica e senza avere il mandato parlamentare. La Presidente del Consiglio aveva accusato Conte e il suo governo di aver approvato la riforma del Mes «con il favore delle tenebre», cioè dopo aver già dato le dimissioni. Conte si è appellato al Giurì d’onore perché ritiene essere stato “leso” dalle parole in aula: sostiene che le dimissioni avvennero solo giorni dopo e che dunque il Governo era nel pieno dei poteri poter prendere tale decisione. Non sono previste sanzioni da questo organo ma solo una relazione finale che prova a ricostruire i fatti in maniera imparziale, utilizzando parlamentari rappresentanti di tutte le forze politiche con imparzialità.