D’estate normalmente fa caldo: a qualcuno piace, a qualche altro (me compreso) meno. Qualche volta, ed è il caso di quest’anno, fa molto caldo e le conseguenze sono davanti agli occhi di tutti: mancanza d’acqua, siccità, sofferenza per l’agricoltura e gli animali, danni economici, aumento dei prezzi di frutta e verdura, desertificazione, salinizzazione dei fiumi (almeno alle foci), tropicalizzazione degli ambienti marini, e così via.



Per qualche mese siamo stati investiti dalle (giuste) lamentazioni di chi ha subito i diversi effetti del caldo (e della mancanza d’acqua) sulla propria pelle ed abbiamo fatto sicuramente parte anche noi dei lamentatori, aggiungendo ai conti macroscopici le nostre piccole o grandi difficoltà personali. Con questo contributo, però, non si vuole né entrare a far parte dei teorizzatori del riscaldamento globale attribuibile alle attività antropiche di cui siamo a diverso titolo responsabili (fenomeno per il quale chi scrive non è sufficientemente esperto) e neppure andare alla ricerca delle potenziali cause di questi fenomeni di accentuato riscaldamento climatico che abbiamo da un po’ di tempo cominciato a chiamare “ondate di calore”. Ci interessa, invece, offrire una visione particolare delle conseguenze negative di queste ondate sulla nostra salute.



Per altro, a disturbare ulteriormente i nostri pensieri, questa estate a differenza dell’anno scorso abbiamo dovuto subire anche un ennesimo assalto del virus Sars-CoV-2 che ci ha aggiunto del suo facendo passare sotto traccia un altro fenomeno sanitario piuttosto rilevante: la sovra-mortalità legata alle ondate di calore, cioè i decessi attribuibili a quegli episodi estesi nel tempo (diversi giorni, settimane, ad esempio) di temperature piuttosto elevate.

Non è la prima volta che succede. Ci ricordiamo sicuramente tutti l’estate del 1982, perché l’Italia vinse il mondiale di calcio, ma sarà difficile che ci ricordiamo che quell’estate ci ha regalato anche due ondate di calore che in Sardegna e in Sicilia hanno portato a superare i 45 gradi di temperatura. Forse è più facile che ci ricordiamo l’estate del 2003, considerato ad oggi un anno record, perché stando alle cronache dell’epoca ed agli studi che ne sono conseguiti le temperature raggiunte provocarono in Italia circa 4mila decessi. E venendo più vicini a noi si deve segnalare ancora l’estate del 2015.



Tutte queste estati si sono caratterizzate per il loro carico di decessi, di provvedimenti da parte delle autorità sanitarie e sociali a difesa dei soggetti più fragili, di decaloghi sui comportamenti da tenere, sulla assistenza agli anziani (in particolare se soli), sugli aiuti nel fare provviste di cibo e acqua, sui consigli a non uscire di casa nelle ore più calde, e così via.

Purtroppo le ondate di calore, oltre a tutto quello di cui si è lungamente parlato sui media in maniera molto preoccupata a proposito di acqua, ambiente, attività economiche, etc., portano con sé effetti sanitari devastanti, ed in particolare una sovra-mortalità per diverse patologie, effetto che non è stato sufficientemente colto invece dai media forse perché ormai abituati a dover convivere giornalmente con le statistiche dei deceduti per Covid. La morte è diventata un numero che ci viene comunicato tutti i giorni, un po’ di meno alla domenica e al lunedì e un po’ di più al mercoledì e giovedì, e non fa più notizia.

“A babbo morto” (come si usa dire: e qui il detto è quanto mai azzeccato) però i nodi vengono al pettine, anche perché i dati sui decessi da caldo devono essere ripuliti dall’effetto concomitante del virus: a ricordarcelo c’è il rapporto con i Risultati dei Sistemi di allarme (Hhwws) del Sistema di Sorveglianza della Mortalità Giornaliera (Sismg) e degli accessi in Pronto Soccorso (Ps) del “Piano operativo nazionale per la prevenzione degli Effetti delle ondate di calore” recentemente pubblicato dal ministero della Salute e riferito al periodo 1 luglio-15 agosto 2022.

Il sistema di sorveglianza sulla mortalità giornaliera, che raccoglie dati relativi a 33 città sparse su tutto il territorio nazionale, ci dice che nel mese di luglio di quest’anno si è osservato un eccesso della mortalità del 29%, con un eccesso che è significativo in gran parte delle città. I dati suddivisi per classi di età indicano come l’eccesso sia principalmente a carico della classe di età più anziana (85 anni e più) nella quale si è registrato un incremento del 38%, rispetto al 15% e 19% rispettivamente nelle classi di età 65-74 e 75-84. L’eccesso di mortalità nella classe di età più anziana è più marcato tra le città del Nord (41% rispetto ad un 35% al Centro-Sud) ed è stato maggiormente elevato a Bolzano, Torino, Milano, Brescia, Genova e Bologna. Particolarmente importante è stato l’impatto nella seconda metà del mese di luglio, con un eccesso di mortalità del 36% che ha interessato tutte le aree del Paese, in particolare alcune città del Nord.

Cosa possiamo dire di avere imparato dalle ondate di calore? Almeno tre sono gli insegnamenti principali che dovremmo riuscire a portare a casa per il tempo (freddo e/o caldo) a venire.

1) A livello del singolo individuo. Dagli effetti sanitari avversi provocati dalle ondate di calore ci si può cercare di proteggere con la prevenzione, adottando singolarmente tutti quei comportamenti virtuosi che i tanti decaloghi messi a disposizione dagli esperti e dagli enti preposti hanno suggerito. La prevenzione individuale non assicura l’assenza di effetti negativi sulla salute, non è un provvedimento che impedisce al caldo/freddo di svolgere la sua azione dannosa, ma costituisce l’azione più importante che il singolo può mettere in atto per affrontare al meglio le alte/basse temperature.

2) A livello del Ssn. Occorre valorizzare al massimo l’assistenza di prossimità, il vicinato, nelle forme più varie: da quelle previste dal Pnrr (esempio: case di comunità), alla tradizionale medicina di base (Mmg, Pls) sia nella forma individuale che in quella di gruppo, dalla Assistenza domiciliare integrata (Adi) alle varie iniziative legate all’infermiere di comunità, e così via. Tocca al programmatore territoriale (Asl, Ausl, Ats …, a seconda di come si chiamano) farsi carico della organizzazione e del funzionamento di questi servizi, avendo cercato prima di quantificare il bisogno cui devono dare risposta.

3) A livello del sistema di welfare. I bisogni che le ondate di calore/freddo fanno emergere richiedono un intervento collaborativo tra assistenza sanitaria, assistenza sociosanitaria e assistenza sociale. È necessario un approccio trasversale che coinvolga tutti i soggetti potenzialmente interessabili, pubblici e privati, profit e non profit, istituzionali e volontari, ciascuno con il proprio specifico contributo ma con un obiettivo comune da perseguire: rendere possibile ai soggetti più fragili di superare le temperie climatiche senza (o almeno con il minimo possibile di) gravami sanitari.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI