Dopo Torino, Roma e Bologna, anche la città di Milano dimostra di non essere una entità omogenea dal punto di vista della salute e di presentare problematiche sanitarie diverse nei suoi quartieri. E’ questa la principale conclusione che ci viene proposta dal recente studio della ATS della città metropolitana condotto in collaborazione con l’Università Statale della città meneghina e con l’Università di Milano-Bicocca (“Social inequalities in health within the City of Milan (Lombardy Region, Northern Italy): An ecological assessment”).



Inserendosi nel filone di studi che da tempo affronta il tema delle differenze che caratterizzano dal punto di vista sanitario i quartieri delle grandi città, e con un occhio ad alcune caratteristiche socioeconomiche che possono essere all’origine dei risultati riscontrati, il contributo degli studiosi milanesi si distingue da altri lavori per il dettaglio con cui è stata sezionata la città (si tratta di 88 zone statistiche che coprono l’intero territorio del comune di Milano) e per la peculiare modalità con cui è stata valutata la salute.



Si tratta di una indagine epidemiologica cosiddetta “ecologica” in quanto i dati sanitari sono disponibili a livello individuale ma i dati socioeconomici sono conosciuti solo a livello di zona statistica: rispetto a questa tipologia di indagini le metodologie utilizzate (statistiche in particolare) dallo studio milanese sono tra quelle considerate più adeguate.

I dati sanitari sono successivi al 2018 (fino ai più recenti disponibili) e si differenziano da altri studi perché non si sono limitati a considerare separatamente i dati di mortalità o quelli di ricovero ma hanno utilizzato tutte le informazioni sanitarie disponibili (mortalità, ricoveri, prestazioni ambulatoriali, consumi farmaceutici, …) per classificare la/e patologia/e di ogni soggetto. Come esiti di salute sono stati considerati, oltre alla mortalità generale, la presenza di diabete mellito di tipo 2, la presenza di ipertensione, di neoplasie, di malattie dell’apparato respiratorio, di sindrome metabolica, di multimorbilità, l’uso di antidepressivi e i consumi farmaceutici. Per quanto riguarda gli indicatori socioeconomici la scelta è caduta sulla proporzione di soggetti con bassa scolarità, sul tasso di disoccupazione, sulla percentuale di immigrati e sul sovraffollamento abitativo, indicatori valutati al censimento 2011 e ritenuti capaci di catturare lo svantaggio socioeconomico di un territorio.



La figura 1 mostra la distribuzione geografica dei 4 indicatori socioeconomici e rivela una maggiore concentrazione dello svantaggio nelle periferie della città, a conferma di quanto già noto a proposito di una chiara divisione tra un centro città ricco ed aree sempre più svantaggiate mano a mano che si va verso le periferie.

Figura 1. Distribuzione dei valori degli indicatori socioeconomici nelle sezioni statistiche della città di Milano. Fonte: “Social inequalities in health within the City of Milan (Lombardy Region, Northern Italy): An ecological assessment”, Epidemiologia e Prevenzione, 2024.

Pur mantenendo tutti e quattro gli indicatori un analogo andamento centro-periferia, la geografia che ciascuno di loro descrive (ed in particolare la localizzazione delle aree dove il livello dello svantaggio socioeconomico è più elevato) suggerisce che la deprivazione socioeconomica ha caratteristiche multidimensionali ed individua zone periferiche differenti a seconda dell’indicatore utilizzato.

Per quanto riguarda gli esiti di salute, la maggior parte dei nove indicatori utilizzati segue in termini generali la distribuzione geografica dello svantaggio socioeconomico, con valori degli indicatori di salute più favorevoli al centro e peggiori in periferia, e con andamenti più accentuati per diabete, malattie respiratorie, sindrome metabolica, e consumi farmaceutici, e più deboli invece per mortalità totale, ipertensione e multimorbilità. Fanno invece eccezione da una parte l’uso di antidepressivi, che non mostrano una caratterizzazione geografica specifica, e dall’altra le neoplasie che mostrano un gradiente geografico inverso (valori più bassi e favorevoli in periferia). La figura 2 esemplifica alcuni dei risultati più rilevanti.

Figura 2. Distribuzione dei valori di alcuni degli indicatori di salute nelle sezioni statistiche della città di Milano. Fonte: “Social inequalities in health within the City of Milan (Lombardy Region, Northern Italy): An ecological assessment”, Epidemiologia e Prevenzione, 2024.

Tra gli indicatori di svantaggio socioeconomico è il basso livello di istruzione che mostra le correlazioni più elevate con gli esiti di salute (la salute è peggiore nelle sezioni dove è più elevata la percentuale di soggetti con basso livello di istruzione) mentre una correlazione inversa risulta tra la frequenza di neoplasie e tutti gli indicatori socioeconomici (la maggiore frequenza di neoplasie è in corrispondenza delle sezioni meno economicamente svantaggiate).

E’ bene innanzitutto osservare che lo studio condotto è una fotografia statica sia dello stato di salute che dello svantaggio socioeconomico dei diversi quartieri della città e, anche se la presenza di un gradiente sociale e territoriale nella salute era già stato osservato in precedenza, questo dovrebbe suggerire prudenza nella interpretazione dei risultati evitando di indicare apparentemente facili associazioni tra potenziali cause (socioeconomiche e geografiche) ed effetti sulla salute.

In secondo luogo lo studio conferma che il livello di istruzione è l’indicatore socioeconomico che risulta maggiormente sensibile nel leggere le variazioni dello stato di salute di un territorio e si mostra molto correlato (in senso negativo) con malattie non trasmissibili come diabete, ipertensione, malattie respiratorie, sindrome metabolica e multimorbilità, ma anche con l’elevato consumo di farmaci.

Dal punto di vista geografico per la maggior parte degli indicatori di salute si registra un trend centro-periferia che vede la periferia presentare uno stato di salute peggiore, ma i risultati dicono anche che le periferie non sono tutte uguali ed in particolare che (nel caso di Milano) sono quelle dell’ovest della città a mostrare la frequenza più elevata di esiti negativi di salute.

Nel tentativo di interpretare i risultati osservati gli Autori dello studio considerano due fenomeni.

Da una parte un effetto che definiscono “composizionale”, cioè il fenomeno per cui bassi livelli di istruzione “catturano l’aggregazione di individui con stato socioeconomico svantaggiato che possono avere maggiore esposizione a fattori di rischio per la salute”;

Dall’altra un effetto “contestuale”, secondo il quale “la concentrazione di soggetti svantaggiati in certe aree può contribuire alla identificazione di aree meno attrattive, con accesso limitato alle risorse sanitarie, e quindi con esiti di salute peggiori a prescindere dalle caratteristiche individuali”.

La natura dei dati utilizzati, ed in particolare la assenza di dati socioeconomici a livello individuale e di dati sui fattori di rischio personali, non permette però di approfondire ulteriormente né l’analisi delle informazioni e nemmeno l’interpretazione dei risultati.

Se rimane pertanto aperta e non risolta l’origine (le cause) dei risultati osservati, anche per via della (tendenzialmente) lunga distanza (latenza) tra il momento della azione dei fattori di rischio e quello della manifestazione degli esiti di salute (qui invece fotografati in uno scatto atemporale), certo ed evidente è l’uso programmatorio che può essere fatto dei risultati emersi sia sul versante della informazione socioeconomica che su quello della informazione sanitaria. La caratterizzazione geografica del territorio (centro-periferia) e la diversificazione tra le stesse periferie richiamano la necessità di interventi specifici e peculiari sia dal punto di vista socioeconomico che da quello sanitario, evitando politiche generiche ed investimenti a pioggia che risulterebbero insufficienti dove il bisogno è maggiore e sprecati dove il bisogno è minore.

Nel contesto dei risultati osservati rimane poi da spiegare la relazione inversa tra stato socioeconomico e frequenza di neoplasie, confermata anche dalla geografia che vede le frequenze più elevate di tumori nelle zone socioeconomicamente più avvantaggiate. Per questo risultato gli autori dello studio non propongono una interpretazione ma si limitano a ricordare che un fenomeno analogo era già stato osservato in precedenza sempre a Milano ma in uno studio che si era limitato a valutare la frequenza di tumore della mammella nella popolazione femminile.

 

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