Caro direttore,

Ci sono due figure retoriche che dominano l’italiano universo linguistico e quindi la politica e le relazioni sociali. La prima si presenta come non condivisione della memoria. La seconda come metonimia, ossia il prender la parte e farne il tutto, distruggendo così ogni possibilità di analisi sociale condotta con probità scientifica. La recente polemica contro la sanità lombarda riflette questo universo distorsivo dell’esserci nel mondo e via via si configura come una vera e propria antologia della falsificazione analitica.



Architrave di essa è il riferimento continuamente positivo al sessantotto, topos classico di un esteso ceto che oggi occupa i gangli del potere di una parte del nostro sistema sociale: chi si è schierato contro di esso è continuamente insultato e svillaneggiato ancora oggi. E si trattava, a quel tempo, da un lato, di uno sparuto gruppo di comunisti riformisti che furono dispersi e derisi. Invece, dall’altro lato, un nutrito gruppo di giovani guidati da un prete povero e carismatico, con Gioventù Studentesca apriva la via alla speranza che potesse sempre esistere una logica argomentativa non fondata sulla violenza fisica e verbale.



Da quella testimonianza cristiana sarebbero nate Comunione e Liberazione e poi la Compagnia delle Opere che invera il sogno di un aggregato d’imprese – e sono migliaia – che non siano solo capitalistiche, ma anche no profit, cooperative e che abbiano sempre al centro la persona e non il profitto come fine. In questo contesto culturale è cresciuto via via un formidabile e benefico assetto di government che ha avuto come epicentro la Regione Lombardia con il presidente Formigoni il quale non ha affatto tradito l’originaria ispirazione sociale del cattolicesimo lombardo, ma l’ha inverata pienamente, pur tra errori, debolezze, autocritiche.



Proprio nella sanità l’azione amministrativa, quindici, venti anni or sono, manifestava la sua debolezza nei confronti dei cittadini. La filosofia dell’umanesimo cristiano vivificata dal rapporto con la cultura della common law nordamericana rinverdì, invece, il sino ad allora dimenticato principio della sussidiarietà e della competizione tra pubblico e privato. E oggi le code non ci sono più come un tempo, le spese sono diminuite, i bilanci sono a posto, la cura del malato è al centro dell’operare, la sanità lombarda è la migliore al mondo, con quella dei paesi scandinavi.

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Certo i direttori delle unità sanitarie sono scelti anche tra affidabili membri della componente culturale del presidente, ma ci sono persone come il carissimo e grande sindaco indimenticabile Carlo Tognoli che hanno operato con libertà e sino a quando hanno voluto. In ogni caso non facciamo i nicodemisti: è vero che uno sforzo di trovare affidabilità in persone non direttamente omologabili con l’originario messaggio potrebbe essere compiuto con più coraggio. Il sistema ne guadagnerebbe, grazie alla libera diversità.

 

Ma non è questo il problema che si è posto nella polemica. Si è usata, invece, in modo sconvolgente, la metonimia: un’operazione coraggiosa e straordinaria di polizia, anti mafia, anti camorra, anti ’ndrangheta sotto la diretta responsabilità di un eccellente ministro degli Interni come Maroni colpisce anche – e come non potrebbe, in democrazia e in una società densa e differenziata e permeabile alle infiltrazioni criminali – alcuni esponenti che hanno rapporti con le cuspidi del potere politico.

 

Ebbene, la parte si trasforma con spregiudicatezza, allora, in tutto. È il sistema sanitario lombardo in quanto tale, infatti, a essere chiamato alla sbarra con una violenza ideologica e linguistica inaudita. E pensare che i processi non sono neppure iniziati. C’è un imbarbarimento: è innegabile.

 

Rimane un senso di grande tristezza. All’età di sessantatre anni mi guardo indietro e vedo che gli sforzi per inverare una società dell’argomentazione anziché dell’insulto, di diffondere una conoscenza scientifica e non propagandistica dei malesseri corruttivi, sono stati vani dinanzi all’accecamento ideologico.

 

Si vuole un esempio? Non si può esser d’accordo con l’inevitabile risultato analitico universalmente riconosciuto che corruzione e malaffare e clientelismo conducono al disastro economico e sociale in ogni settore della società e poi confrontare questa teoria con lo stato ottimo di salute della sanità lombarda… la contraddizione è evidente.

 

Pare, tuttavia, che la condivisione dell’analisi sia impossibile e solo la guerra ideologica sia la strada che si vuol intraprendere – ancora una volta – nell’Italia di oggi. E in Lombardia: nella regione più ricca al mondo e che vorremmo invece fosse, in guisa condivisa, anche la più civile.