Se si volesse ripercorrere la storia della sanità a Milano, e più in generale in Lombardia, bisognerebbe senz’altro riservare un posto a san Camillo del Lellis e ai camilliani e non si potrebbe fare a meno di riferirsi al saggio, San Camillo de Lellis e l’Ordine dei Ministri degli Infermi nella storia della Chiesa di Milano, opera di due storici, Maurizio De Filippis e Elisabetta Zanarotti Tiranini , che offrono una ricognizione accurata, ricca di riferimenti e di notizie storico-scientifiche, bio-bibliografiche, artistiche sull’opera di san Camillo, collocata all’interno di un vasto panorama sulla storia della carità e dell’assistenza nella città di Milano.
Nella prima parte del libro, edito da Ares nel 2009, vengono analizzate le origini dell’assistenza sanitaria a partire dall’Alto Medioevo. In città erano già presenti molti xenodochia (che erano luoghi di ospitalità gratuita per pellegrini e stranieri) nonché hospitalia (comprendevano ospizi, brefotrofi,ospedali…), fondati da religiosi o da monasteri, sovvenzionati spesso da lasciti testamentari di laici, dove i cosiddetti pauperes Christi o infirmi venivano assistiti da religiosi o laici, animati da spirito di carità in obbedienza ai dettami del Vangelo. Nel corso dei secoli questa rete di assistenza si moltiplicò, nacquero molti nuovi luoghi destinati alla cura, a volte anche specializzati per malattie epidemiche come la peste -si pensi al Lazzaretto di Porta Orientale, famoso per I Promessi Sposi- fino alla edificazione, iniziata nel 1456, del grandioso ospedale promossa dai duchi Francesco Sforza e Bianca Maria, subito chiamato dai milanesi Ca’ Granda. Tutto questo ha fatto parlare di una esemplarità dello Stato di Milano per quanto riguarda l’organizzazione degli interventi assistenziali.
Camillo de Lellis arrivò a Milano nel giugno 1594 con otto suoi religiosi, detti Crociferi per la croce rossa che portano sul petto, spinto dalla volontà di “servire li poveri infermi nelle cose spirituali e corporali”. Egli infatti aveva dato vita a Roma ad una compagnia di uomini “pii e dabbene” che si dedicassero all’assistenza agli ammalati fino al rischio della propria vita, quindi senza arretrare di fronte a situazioni particolarmente pericolose come un’epidemia di peste. In effetti, durante il viaggio a piedi, il gruppetto incontrò delle persone in fuga da Milano le quali sconsigliarono i religiosi dal proseguire verso la città informandoli che era flagellata dalla peste, al che Camillo rispose: “Ma è proprio per questo che ci andiamo!”
I Camilliani rimasero a Milano, dove svolgevano, seguendo il carisma del fondatore, il duplice servizio di assistenza corporale e spirituale, perché l’uomo è uno e non ha senso curare l’anima tralasciando il corpo e viceversa. Lo stesso san Camillo, narra il suo terzo successore come superiore generale e primo biografo, padre Sanzio Cicatelli, quando era all’Ospedale Maggiore si fece comprare una paletta di ferro per pulire e raschiare il pavimento affinché i ricoverati non si insudiciassero i piedi quando si alzavano dal letto.
I Camilliani, o Ministri degli Infermi, non avevano però in città una loro casa né una chiesa, fino a quando nel 1632 riuscirono ad acquistare una casa in via Durini. Qui vollero una chiesa da dedicare alla Madonna e così nel 1708 fu iniziata la costruzione della nuova chiesa barocca, che sussiste tuttora, e che fu chiamata Santa Maria della Sanità o della Salute.
Con Giuseppe II, figlio di Maria Teresa d’Austria che l’imperatrice aveva associato al trono nominandolo coreggente, e i regolamenti da lui emanati per il riordino e il controllo delle questioni ecclesiastiche- è la politica detta appunto giuseppinismo- si ebbe la nazionalizzazione della comunità camilliana milanese e nel 1787 l’elevazione di Santa Maria della Sanità a parrocchia. Ma fu con la Repubblica Cisalpina che iniziarono davvero le vessazioni nei confronti dei Ministri degli Infermi, i quali videro la loro casa occupata prepotentemente dai nuovi invasori, i francesi a seguito di Napoleone, per farne la caserma dei militi della Guardia Nazionale e della Legione III. Nel 1799 infine venne notificato “che rimane e resta perpetuamente soppresso, ed abolito il Collegio dei Crociferi di Santa Maria della Sanità di questo Comune, e d’ora in avanti cessar la sua legale esistenza, e che perciò ciascuno d’essi dovrà lasciare il detto Istituto col trasporto soltanto dei propri rispettivi mobili, e coll’obbligo di deporre l’abito dell’Istituto.” I religiosi si rifugiarono a Pavia presso i confratelli lì residenti fino alla soppressione dell’Ordine avvenuta il 14 maggio 1810.
I Ministri degli Infermi tornarono a Milano definitivamente nel 1896 e poiché non riuscirono a riottenere la chiesa di via Durini, affidata nel frattempo al clero secolare e alla parrocchia di Santo Stefano, decisero di edificare nei pressi della loro nuova dimora in via Boscovich, fuori Porta Venezia, un santuario dedicato alla Madonna della Salute la cui prima pietra venne posta nel 1900. Negli anni ’20 la chiesa di via Durini, nonostante le proteste dei Camilliani, fu venduta a privati, poi adibita a magazzino e infine lasciata dall’ultima proprietaria in eredità al cardinal Schuster che la fece riaprire al culto.
Nel Novecento Milano, pur essendo considerata la “capitale sanitaria” del Regno d’Italia, non fu certo risparmiata da gravi calamità come la tubercolosi o l’ influenza detta spagnola e soprattutto dai due conflitti mondiali che colpirono in modo inaudito la città e la sua popolazione. Tuttavia stava nascendo la Grande Milano, che seppe risollevarsi e diventare una moderna metropoli industriale, capace di attirare nuova popolazione proveniente dalle altre regioni d’Italia. Alle sfide di questa nuova realtà e al costante incremento della domanda sociale di cura risposero – e stanno rispondendo- nuove fondazioni ospedaliere, supportate non solo dalla straordinaria evoluzione delle conoscenze scientifico/sanitarie ma anche dall’adozione di logiche di carattere sinergico, tanto che oggi si assiste ad una rinnovata esemplarità del territorio milanese e lombardo nel campo dell’assistenza.
(Silvana Rapposelli)