Il terzo volume del progetto Le nuove meraviglie di Milano, curato da Luca Doninelli per il Centro Culturale di Milano, come sempre ha un titolo intrigante: “Vacanze Milane”. Raccoglie trenta racconti di autori che hanno preso parte alla Scuola di Scrittura Flannery O’Connor e al corso tenuto da Luca Doninelli all’Università Cattolica. Ogni città è “la risposta originale a una domanda di convivenza tra persone diverse”, dice il curatore. E’ una proposta di vita. Come tanti punti d’osservazione, i racconti fanno emergere il presente di questa verità dentro una città che, nella sua lunga storia, ha sempre fatto i conti con il futuro e la tradizione: Milano.



Fin da subito si comprende che l’idea di una città, la visione che di essa si possiede, è strettamente legata alla concezione che, dentro quelle mura, si ha della persona. Ovvero: come stiamo trattando l’uomo? Che ne è dell’uomo nella nostra città? Ecco il grande nodo intorno al quale si concentra il libro. Il sottotitolo del volume, Città della cura, cura della città, esprime quel nucleo, quel punto, senza il quale la città non ha senso d’essere. Per questo motivo, grande importanza è stata data ai luoghi ospedalieri, come possibilità di incontro tra diverse e complementari realtà. “L’incontro con il medico, perlomeno nella Milano di oggi, è anche l’incontro con un certo modo di intendere lo scopo della medicina e la natura della professione medica, e quindi con una certa concezione dell’uomo e del significato della sua vita”, conclude Luca Doninelli.



Abbiamo sentito, intorno a questi temi, Cecilia Sironi, docente a contratto presso l’Università dell’Insubria, che si occupa di formazione infermieristica dal 1985 ed è attualmente presidente della Consociazione nazionale delle Associazioni infermiere/i, e Giulio Sapelli, ordinario di Storia economica nell’Università degli Studi di Milano. E che soprattutto è “padrino” e sostenitore di questo progetto di scrittura della Milano contemporanea. Una novità per tutti i lettori: IlSussidiario.net pubblicherà a puntate, a partire dalla prossima settimana, tre racconti tratti dal libro.



Il libro racconta come la crisi di oggi non sia solo economica o finanziaria. E’ prima di tutto una crisi del patto sociale, della convivenza, una difficoltà profonda a rispondere alla domanda: che cosa ci tiene insieme? Secondo lei, qual è la natura della nostra convivenza?

Sapelli – E’ la riattualizzazione di quello che Rousseau chiamava l’amor di sé e il senso di pietà che caratterizzava l’uomo nello stato di natura. Oggi questa cosa sta rinascendo, poiché, dato che siamo in un momento di grande paura e crisi, la persona umana, che non può mai essere ridotta all’economico o all’utilitaristico, riscopre quel senso di compassionevole amore per l’altro che poi è il vero senso cristiano dell’amore per il prossimo.   

Sironi – Quando sento parlare di crisi economica o finanziaria, per me è molto importante sottolineare il fatto che c’è una crisi valoriale, e quindi morale. Perché convivenza, vivere e stare con gli altri, significa esaltare il valore e la dignità della persona, della solidarietà. Uso una parola che non è molto di moda, ma che io amo molto, che è carità. Parlare di amore e carità sembra oggi fuori moda. Invece ci sono delle correnti di pensiero nell’ambito delle scienze infermieristiche che la stanno rivalutando notevolmente. Ho in mente una collega americana, una teorica dell’assistenza infermieristica, Jean Watson, di cui sto curando la traduzione del libro in Italia, che parla di assistenza umana. Umana nel senso che, se non ritorniamo a questa esaltazione delle caratteristiche proprie dell’uomo, il nostro stare insieme e la natura della nostra convivenza diventano davvero bestiali.

Doninelli afferma che una città si vede dall’idea di persona in essa contenuta, e una persona si vede da come viene curata. Non solo in senso medico tecnico, ma anche in quello dell’assistenza umana. Che idea di uomo c’è oggi a Milano?

Sapelli – Credo ci sia una parte della città – le nuove classi agiate, i top manager della finanza e dell’industria – che non si sente per nulla caratterizzata dall’idea di uomo di cui parlano i racconti del libro. Se scendiamo nelle classi medie, e anche in alcuni segmenti delle classi medio-alte, e poi andiamo al popolo, più andiamo verso gli umili più questi sentimenti che Luca Doninelli identifica in tutta la città sono presenti. Però io vedo ancora una città molto segmentata. C’è una parte della città che non ha assolutamente questo senso di cura dell’altro. Sono dunque presenti, nella città, diverse idee di uomo. C’è un uomo acquisitivo, prevalentemente barbarico, che si ritrova soprattutto nelle classi alte della finanza, dell’economia, e che non ha assolutamente nessun spirito di solidarietà per l’altro. C’è, poi, una classe media, che sono i professionisti, i medici, e poi giù fino agli infermieri e alle persone umili, che hanno quell’idea di persona di cui parla Luca Doninelli. Contesto soltanto al libro che questo sia il segno degli abitanti di tutta la città. In questa città c’è anche una classe predatoria e neobarbarica a cui non importa nulla della sofferenza degli altri. E’ una classe di rapina e di spogliazione.

Sironi – Oggi c’è bisogno dell’assistenza in senso lato, totale: cura nel senso di prendersi cura. A mio parere serve precisarlo, perché l’assistenza che non sia solo medicina per me vuol dire anche che non sia solo tecnologia, specializzazione. Si parla sempre di medicina e di cura. Vuol dire che uno ha in mente comunque una logica medicocentrica. Da noi diagnosi e cura sono concetti tipici del medico. Nel nostro ambito culturale la parola cura è molto legata alla medicina, mentre il termine assistenza è molto più ampio. Non sempre l’uomo resta il centro, il soggetto, lo scopo di questa cura e assistenza. Sono molto preoccupata di questo aspetto, perché nell’ambito infermieristico purtroppo l’ingresso in Università nella facoltà di Medicina ha un po’ trascinato anche gli infermieri verso questo modello di medico, invece di rinforzare le nostre radici, che sono diverse e complementari. A Milano ci sono punti di eccellenza tecnologica, e ci sono anche punti dove gruppi ed équipe di lavoro, infermieri e medici insieme, mantengono questo legame con la nostra storia di carità. Da questo punto di vista Milano ha una storia che non ha nulla da invidiare ad alcuno! Per esempio, nella vecchia Ca’ Granda, la sede dell’ospedale a crociera del Filarete a Milano, ha lavorato San Camillo, che era un infermiere. Prima di chiamare il medico, accoglieva dai balconi – lì passava il Naviglio – i malati, e subito li lavava, li vestiva, gli dava da mangiare e bere, e poi gli proponeva i Sacramenti. Questa è un’attenzione totale alla persona che la storia di Milano ha. Potrei fare tantissimi esempi. Oggi ho l’impressione che ci sia una crisi d’identità, una profonda difficoltà ad affrontare domande come chi sono io, chi è la persona. Questo perché l’uomo è valorizzato come consumatore, e così si è incrementata la crisi dell’io. E’ come se fosse crollato l’io nel senso umano, al cui posto s’è insediato l’io-consumatore. I ragazzi sono attaccati all’iphone, all’ipad, ai cellulari… Vivono in un mondo virtuale. Ma l’io consiste in questo? Consiste in quanto consumo, in quanto può acquistare cose? Per questo parlavo di crisi valoriale della persona. E’ un aspetto che urge, da recuperare.

Dentro un sistema oggi di eccellenza sanitaria, ha ancora senso l’aspetto, che spesso si lascia desiderare anche nei medici, dell’accoglienza e della gratuità? Che prospettiva educativa darebbe lei? 

Sapelli – E’ l’elemento fondamentale che fa l’esperienza sanitaria. Ci deve sempre essere la gratuità! Se non c’è la gratuità, soprattutto nel mondo sanitario, che è già pericolosamente minacciato dal mercato, anche questo senso della cura e della gratuità viene meno. Tutto diventa mercato e non c’è più senso della cura. La cosa bella di questo libro, che emerge soprattutto dai racconti, è il fatto che la sanità è la storia di una serie di innumerevoli atti d’amore. A mia madre, ammalata di alzheimer per anni e anni, le avevano dato sei mesi di vita. Ha vissuto, invece, sei anni grazie all’amore delle persone che la curavano giorno dopo giorno. Perché? Perché mettevano qualcosa di più della cura medica, mettevano l’amore per la sofferenza, che io chiamo la santificazione del lavoro. La cura è possibile solo se la si intende come un lavoro che va santificato dall’amore per gli altri. Nella sanità questo aspetto è più diffuso, ma nella società credo che ci sono numerosi pericoli di spezzare la comunità, perché l’esperienza di questa nuova classe agiata barbarica e predatoria si sta allargando sempre di più. Essa non ha nessun amore degli altri, ma solo un amore di sé e una smisurata voglia di far denaro.

Sironi – Certo, questo fa recuperare il valore delle persone! Uno può essere un bravissimo specialista tecnico, ma non avere questo interesse, questa capacità di vicinanza all’altro, che è fondamentale per la qualità della convivenza. Troppe volte non c’è l’ottica dell’infermiere rispetto all’ambito sanitario. Per esempio, non siamo presenti negli aspetti dove si decidono le politiche. E questo è un di meno per la risoluzione dei problemi! E’ un modo di approcciare la realtà, la sanità, il malato, la famiglia, che è diverso, complementare e doveroso. E il malato questo lo sente. Il malato avverte se intorno ha un gruppo che lo cura in toto. E noi, per la storia che abbiamo, possiamo essere quelli che fanno da punto di riferimento per tutte le figure intorno al malato.

In America vi sono reparti in cui gli “inguaribili” vengono abbandonati dai medici. Sarà così anche da noi? 

Sapelli – Questo noi non lo avremo mai. Quel che dico di questa nuova classe agiata si riferisce non tanto alla sanità, ma a Milano in quanto comunità milanese. Questa dimensione barbarica dell’uomo appare soprattutto fuori dalla sanità, e naturalmente penso che prima o poi invaderà anche essa. E’ vero che nella sanità c’è un’assistenza diversa, sono d’accordo con Luca Doninelli. Però c’è da essere molto preoccupati.

Sironi – In America, ma anche in tante parti del mondo. Adesso noi non abbandoniamo gli inguaribili ma ho in mente realtà ospedaliere e ricoveri assurdi per far morire le persone, quando ci sarebbe da migliorare, da incrementare la nascita di Hospice. Ci sono diverse realtà dove l’Hospice, grazie alle cure palliative, lo dice la parola, non risolve il problema, ma copre, risolve i sintomi. E’ un approccio completamente diverso che aiuta a non abbandonare. Dunque sono molto critica su questo. Potrebbe accadere, come in America, anche a Milano.

Una parte del libro è dedicata a storie dove la reattività del singolo sfocia a volte, all’improvviso, in violenza. Qual è il malessere secondo lei?

Sapelli – Questo non si può dire. Ogni anima ha la sua storia. Uno che, come me, appartiene al personalismo cristiano non può rispondere. Non posso rispondere a una domanda così similarizzata, non c’è un motivo comune. Adesso naturalmente c’è insoddisfazione, afflizione perché le cose vanno male… La vera violenza è quella della nuova classe predatoria che vuole distruggere Milano.

Sironi – A mio parere il malessere c’è. A volte emerge, e fa anche impressione per la violenza, per le reazioni. La radice di questo malessere è l’assenza di senso, l’aver smarrito il valore della persona e della vita. C’è il discorso del virtuale che vince sulla realtà. Penso ai social network: uno è pieno di amici, ma non è amico di nessuno, è solo, poiché non ha questo senso. Il virtuale vince sulla realtà. E il sangue può essere visto solo come un liquido rosso che cola. Se uno ha fatto, come me, esperienza di assistenza infermieristica in Pronto Soccorso, se uno ha sentito per una volta l’odore del sangue, non può confonderlo per un liquido rosso, perché è un odore che non puoi scordarti, è qualcosa che ti segna.

Doninelli afferma che il futuro della città si deciderà negli ospedali. Che cosa significa? E’ d’accordo?

Sapelli – Significa che bisogna fare in modo che questo senso di cura per l’altro diventi una cifra comune, al di là della sofferenza fisica. Dobbiamo imparare dagli operatori della sanità, dagli infermieri, in modo che questo loro amore si diffonda in tutta la città. In questo senso interpreto il messaggio di Luca Doninelli, come un punto di partenza che sconfigga queste correnti aperte e contrarie… Insomma: come diceva Paolo VI, il diavolo è sempre tra di noi, e l’unico appunto che muovo a Luca Doninelli è di essersi dimenticato di quello che diceva Paolo VI, che l’esperienza del diavolo è un’esperienza quotidiana. Troppo ottimismo ci fa male.

Sironi –  Sì, a patto però che il futuro sia nelle mani delle persone, non delle istituzioni! Sono le persone ad essere vive dentro le istituzioni, a fare le istituzioni, coloro che decideranno, anche, come saranno gli ospedali. Luoghi dove non deve essere presente solo il polo tecnologico! Insisto sulla differenza tra la medicina, tra l’approccio medico, e quello dell’assistenza: dobbiamo accompagnare le persone. Il medico, giustamente, essendo questo il suo compito, incontra le persone nella cura, nella guarigione, nel farle star bene. L’assistenza infermieristica poggia invece sull’ accompagnamento delle persone. Il fatto di accompagnarli fino ad una morte serena, per esempio, deve tornare ad essere possibile a casa loro, perché l’ospedale non è il luogo ideale per accompagnare alla morte. Si deciderà negli ospedali il futuro della città nel senso che si deciderà nell’idea di cura e di assistenza. Che include tutto.

 

(Luca Manes)