Niente di nuovo. L’ipotesi di reato è quella di corruzione, aggravata dalla transnazionalità. Certo, che Formigoni sia iscritto nel registro degli indagati, nell’ambito dell’inchiesta sui presunti fondi neri costituiti mediante la Fondazione Maugeri ora è ufficiale. Ma, per il resto, le carte di cui adesso dispone pure il governatore lombardo non aggiungono nulla a quanto già si era appreso da tempo dalla stampa. Un particolare che, ieri, in conferenza stampa, Formigoni ha ribadito con sdegno: se alcuni quotidiani conoscevano, da settimane, il contenuto di atti coperti da segreto, qualcosa non torna. In ogni caso, si è detto tranquillo. Si parla di corruzione – ha precisato – senza che vi sia l’atto corruttivo. «Rimango al mio posto perché sono sicuro che tutti i miei comportamenti sono rettilinei», ha detto, aggiungendo: «Non mi dimetto, perché l’avviso di garanzia è a tutela dell’indagato e i fatti contestati sono falsi dall’inizio alla fine». Un suo collega, invece, fu costretto a lasciare. Era il 14 luglio del 2008 quando la Guardia di Finanza mise le manette ai polsi all’allora presidente dell’Abruzzo Ottaviano del Turco, nell’ambito di un’inchiesta sulla sanità regionale. Dopo 28 giorni di isolamento nel carcere di Sulmona, gli diedero i domiciliari e, infine, l’obbligo di dimora. La sua carriera politica, nel frattempo, era andata distrutta. Gli abbiamo chiesto un commento sul caso Formigoni.
Anzitutto, a che punto è giunta la sua vicenda?
Il 14 luglio scorso ha compiuto esattamente 4 anni. Il 15 settembre riprenderà il processo, si concluderà l’audizione dei testimoni prodotti dall’accusa e, finalmente, si inizierà ad ascoltare pure i testimoni della difesa.
E in questi 4 anni cos’è successo?
Della montagna di prove, di cui era stata annunciata l’esistenza il giorno al mio arresto, non si è vista l’ombra.
Come ha vissuto questi anni?
Sono stati terribili, ma sono riuscito a trovare la forza per non cedere alla disperazione. Sono stato aiutato dalla solidarietà di migliaia di persone che non ho mai visto in vita mia ma che si sono fidate della mia storia.
Perché decise di dimettersi? Non poteva attendere l’esito del processo?
No, perché sapevo che la vicenda giudiziaria rappresentava la vittoria, tra gli altri, di parte della mia stessa maggioranza che aveva operato affinché la giunta saltasse. Senza una maggioranza solida, quindi, mi sarei trovato nell’impossibilità di portare a termine il mio mandato. Il capo dell’operazione fu, infatti, il vicepresidente della giunta che, come risulta dagli atti giudiziari, collaborò con i magistrati perché si accelerassero drasticamente i tempi.
A quale scopo?
Fui arrestato un giorno prima che la giunta potesse assumere decisioni ultimative nei confronti delle cliniche private che pensavano di poter continuare a moltiplicare a proprio piacimento e irregolarmente i posti letto a loro disposizione. Non è un caso che fui accusato dal titolare di una casa di cura privata, di averlo costretto a darmi 6 milioni e mezzo di euro attraverso leggi e delibere di giunta vessatorie. Sei milioni e mezzo che non sono mai stati trovati.
Quindi?
Le leggi non si fanno per una singola clinica, ma per tutte. Non si capisce perché le altre non abbiano mai avuto nulla da eccepire. Se quel giorno non fossi stato arrestato, avremmo potuto imporre alle cliniche private – che fino ad allora avevano fatto il buono e il cattivo tempo – di accettare le regole della Regione per poter ottenere da essa dei finanziamenti.
Anche Formigoni è indagato nell’ambito di un’inchiesta sulla sanità.
Sì. E anche Nichi Vendola. Quando fui eletto presidente dell’Abruzzo, la Regione spendeva l’80% delle sue risorse per la sanità. Il nostro conto era particolarmente salato ma, in qualunque amministrazione regionale, la spesa per la sanità è in assoluto quella prevalente. E’ evidente che gli interessi in gioco, quindi, siano enormi.
In tal senso, In Lombardia chi sono, secondo lei, i protagonisti della vicenda?
In Abruzzo si poteva parlare, al limite, di persone con enormi interessi, ma non di veri e propri poteri forti; in Lombardia, sì. E, “forte”, in Lombardia, è tutto: lo sono i poteri, ma lo è anche la politica. Formigoni, infatti, a differenza mia, dispone ancora di una maggioranza che lo sostiene con vigore. A fronte di queste considerazioni, se neppure Formigoni è stato, finora, in grado di individuare nomi e cognomi di chi muove i fili del gioco, si figuri io. In ogni caso, cambiano gli attori, ma le risorse mosse sono sempre le stesse.
Quali?
Beh, il modello della sanità lombarda è in assoluto il più efficiente ed efficace del Paese. Personalmente, da governatore, l’ho sempre osservato con invidia. Del resto la Corte dei Conti, sempre severissima con chiunque, ha definito la sanità e i conti lombardi eccellenze italiane. Godere di una tale giudizio relativamente ai conti dell’Abruzzo mi avrebbe evitato parecchi mal di testa.
Tutto ciò rischia di indebolire il modello sanitario lombardo?
Ci sono molti segnali che lasciano intendere che si andrà in questa direzione. Quando la vicenda si sarà conclusa, qualche dirigente sarà stato sostituito, la maggioranza, forse, sarà cambiata e, cosa che conta di più di tutte, la sanità lombarda avrà ricevuto un colpo clamoroso. E aver messo in discussione il ruolo della Lombardia potrebbe sortire, anche a livello economico, pesanti conseguenze sul piano nazionale.
Come giudica il comportamento della magistratura?
In generale, mi pare che il confine tra l’equilibrio dei poteri sia ormai stato a tal punto alterato da aver ridisegnato la geografia democratica del Paese a favore della magistratura. D’altro canto, è evidente a chiunque che, nel corso degli anni, si è rivelato impossibile spostare Formigoni e la sua maggioranza dalla gestione della cosa pubblica lombarda. Era necessario che intervenissero fattori esterni. Oggi, stanno intervenendo.
Cosa ne sarà del futuro politico di Formigoni?
Appare sicuro di sé e convinto delle sue ragioni. In Lombardia, del resto, esiste ancora una politica intenzionata a sopravvivere all’avanzata del potere della magistratura. Contestualmente, è bene ricordare che non dovrebbe essere compito di un cittadino indagato dimostrare la propria innocenza, ma compito dei magistrati dimostrare la sua colpevolezza. In un Paese democratico dovrebbe funzionare così.
Crede che oggi sia ancora possibile fare politica a certi livelli senza finire inquisiti?
Io ne ero convito. Fino al giorno del mio arresto.