In giorni in cui il virus Hiv torna prepotenemente alla ribalta in maniera negativa ci sono però anche delle notizie positive. Infatti la terapia preventiva PrEP sembra davvero funzionare. Questo è un trattamento che può evitare il rischio di contrarre il virus in questione. Uno studio francese ha dunque offerto delle speranze nuove di mettere al tappeto questa pericolosa patologia infettiva. Quanto analizzato dai ricercatori è stato presentato alla 22ma Conferenza internazionale sull’Aids che si è tenuta ad Amsterdam. Il Presidente dell’Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) Stefano Vella ha specificato che i nuovi studi hanno dato delle prove concrete di come la PrEP sia una terapia risolutiva. Si tratta di una profilassi pre-esposizione, una terapia che è stata perfezionata con il tempo e che ha permesso di limitare al minimo i rischi di contagio. Viene specificato poi come lo scopo di questi farmaci anti-Aids sia quello di andare a fare un uso preventivo nei confronti della malattia per evitare che una persona sana possa essere contagiata da chi è affetto da sieropositività. (agg. di Matteo Fantozzi)



ECCO COME SI TRASMETTE

Arrestare l’HIV entro il 2030: questo l’obiettivo delle oltre 15.000 persone riunite ad Amsterdam da ieri e fino al 27 luglio per la 22esima Conferenza internazionale sull’AIDS. Un proposito per niente scontato se è vero che moltissimi esperti hanno lanciato un allarme su vasta scala: il rischio di una nuova pandemia, purtroppo, oggi non è così lontano. Dal 2010 le infezioni sono aumentate del 30% e le fasce più a rischio contagio sono le giovani donne. Basta pensare che 4 adolescenti su 10 in Africa hanno subito violenze fisiche o sessuali da parte di un partner intimo, un fattore che aumenta a dismisura la probabilità di contrarre l’HIV. Nella società contemporanea sono ancora in tanti a non conoscere le modalità di trasmissione del virus. Come ricorda Quotidiano Sanità, si può contrarre l’HIV mediante la trasmissione tra una madre e il figlio durante la gravidanza, il parto e l’allattamento; tramite rapporti sessuali non protetti (vaginale o anale) o sesso orale con una persona infetta; attraverso trasfusioni di sangue o prodotti ematici contaminati o trapianto di tessuti contaminati; per la condivisione di attrezzature e soluzioni per l’iniezione contaminate (aghi, siringhe) o attrezzature per tatuaggi; e per l’uso di strumenti chirurgici contaminati e altri strumenti taglienti. (agg. di Dario D’Angelo)



UN FORTE SEGNALE DA MILANO

Da Milano arrivano segnali confortanti nella lotta all’Aids. Il capoluogo della Lombardia è la prima città italiana che vuole lavorare per mettere la parola fine all’epidemia da virus Hiv prevista per il 2030. Sono molti i sindaci in giro per l’Italia che hanno deciso di aderiscono al “Fast Track Cities Project” con proprio Milano in testa. L’iniziativa è stata lanciata ufficialmente nel 2015 e si bassa sulla sensibilizzazione dei cittadini invitati a cercare di capire come combattere questa terribile malattia. Milano è stata la prima città nel nostro paese ad aderire a questo programma lanciato da un consorzio tra UnHabitat, Unaids e Ipac-International Association of Providers of Aids Care. Al momento partecipano al Fast Track ben 94 città di cui 20 in Europa, 32 in Africa, 15 in Sudamerica, 18 in nord America e 9 in Asia. Vedremo se questo basterà a superare quello che è un’allarme davvero molto inquietante mosso direttamente da un numero importante di specialisti. (agg. di Matteo Fantozzi)



ASSENZA DI FONDI

Dal convegno in corso ad Amsterdam a cui prendono parte oltre 15mila tra ricercatori, volontari e ospiti, a proposito della nuova preoccupante epidemia di Aids che è tornata a colpire dopo anni, giungono una notizia buona e una cattiva. Quest’ultima è la mancanza di fondi necessari per impedire l’aggravarsi dell’epidemia. Secondo esperti olandesi occorrono 7 miliardi all’anno per questo scopo in più di quelli già disponibili:  “La mancanza di finanziamenti unita al rischio di nuove infezioni in Paesi dalla forte crescita demografica – come in Africa – rappresenterebbe una grave crisi e si potrebbe perdere il controllo sull’epidemia” ha detto l’americano Dybul, ex dirigente del Fondo mondiale di lotta all’Aids. La notizia positiva invece sono i risultati delle ultime ricerche che dimostrano l’equazione tra non diagnosticabile e non trasmettibile: chi ha l’Aids ed è sotto cura riesce a sopprimere il virus nel sangue e non è più in grado di trasmetterlo (Agg. Paolo Vites)

IL PRINCIPE HARRY ALLA CONFERENZA

Ad Amsterdam si è tenuta una conferenza internazionale sull’Aids durante la quale sono emersi diversi elementi preoccupanti che fanno pensare al rischio di una nuova epidemia entro il 2030. Tra i personaggi noti presenti c’era anche il Principe Harry fresco del matrimonio con Meghan Markle. Ha dato sicuramente un segnale importante, riuscendo a far capire come questo congresso fosse importante per tutto il mondo. Di certo nella lotta contro l’Aids è importante che si possano trovare anche personaggi così importanti, in grado di far capire come l’attenzione vada inevitabilmente alzata. Se questa patologia sembrava ormai quasi un lontano incubo mentre ora torna prepotenemente come uno scheletro nell’armadio che si risveglia e può mettere paura. La parola principale per cercare di superare tutto è sempre e comunque la prevenzione che non si deve scordare diventa effettiva quando si lavora su campagne di sensibilizzazione. Sono molti purtroppo i paesi, anche civilizzati, dove non ci si rende conto di quanto possa essere pericoloso l’Hiv. (agg. di Matteo Fantozzi)

KILONZO: “LONTANISSIMI DAGLI OBIETTIVI”

L’Aids rischia di creare nuove epidemie e a dirlo sono gli studiosi che hanno fatto capire come la situazione in merito a questa patologia sia di assoluta emergenza. Come riportato da La Repubblica ha parlato anche Ndulu Kilonzo che è nel Consiglio keninano sul controllo dell’Aids. Questi ha sostiene come servano degli investimenti importanti perché altrimenti non si riuscirà nemmeno ad avvicinarsi a quelli che sono i risultati ipotizzati e sperati da parte della comunità internazionale per il 2030. Sottolinea: “Siamo davvero lontanissimi dal raggiungimento del traguardo, non solo per quanto riguarda la vera eliminazione del virus, ma anche e soprattutto per ciò che riguarda la prevenzione”. Su quest’ultimo capitolo va specificato come sono decisamente diminuiti i fondi per distribuire gratuitamente preservativi in Africa, con campagne di sensibilizzazione che in alcuni casi possono diventare determinanti. (agg. di Matteo Fantozzi)

SENSIBILIZZAZIONE SULLA CONTRACCEZIONE

Nel passaggio tra gli anni ottanta e novanta l‘Aids era un vero e proprio fantasma da controllare soprattutto con la sensibilizzazione sulla contraccezione. Con il passare degli anni però gli studi sui farmaci antiretrovirali sembravano aver messo in un certo senso la parola fine a un incubo. Gli esperti però hanno lanciato un nuovo allarme, sottolineando la possibilità di un’altra pandemia. Durante la conferenza internazionale sull’Aids ad Amsterdam è stato lanciato un vero e proprio appello a non abbassare assolutamente la guardia. E’ stato specificato come per tenere a bada questo virus servirebbero sette miliardi di euro che al momento non ci sono. I paesi africani rimangono quelli più colpiti e in questi la spinta demografica galoppante sta dando nuove preoccupazioni. Il rischio è di arrivare a una situazione poi impossibile da controllare.

UN PO’ DI NUMERI

Al momento si contano nel mondo circa 37 milioni di persone sieropositive che possono tenere sotto controllo però la patologia grazie a una terapia antivirale. Per la prima volta nel 2016 il numero di morti per Aids è sceso sotto il milione di persone, numeri che sono ulteriormente diminuiti l’anno seguente facendo ben sperare per il futuro. Nonostante queste buone indicazioni i rischi sono ancora molto alti perché entro il 2030 potrebbe esserci una nuova pandemia a causa della mancanza di fondi per finanziare la lotta contro questo terribile male. C’è paura che un deciso taglio delle sovvenzioni americane possa portare a pericoli difficili poi da controllare. Sono molte le organizzazioni umanitarie che sono a lavoro per ridurre qualsiasi tipo di rischio, cercando di calcolare quale sarà la risposta negli anni a venire.