Che sia una “banale” infezione alle gengive la causa del morbo di Alzheimer? Lo sospettano gli studiosi di un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della Scuola di Odontoiatria dell’Università di Louisville, Stati Uniti, che hanno collaborato con i colleghi dell’Università Jagellonica di Cracovia (Polonia), dell’Università di Auckland (Nuova Zelanda), dell’Università di Bergen (Norvegia) e di molti altri istituti giungendo ad un risultato a dir poco clamoroso: la malattia neurodegenerativa che priva i malati non solo dei ricordi ma della loro stessa identità costringendoli a dipendere dai propri cari per tutte le attività quotidiane, potrebbe essere causato dal Porphyriomonas gengivalis, il batterio che causa la parodontite cronica. Gli scienziati, come riportato da Fanpage, sono convinti che la proliferazione di placche di beta amiloide e grovigli di proteina tau nel cervello, caratteristiche tipiche della demenza, sia proprio la risposta opposta dall’organismo all’attacco da parte del batterio.
ALZHEIMER, CAUSATO DA INFEZIONE ALLE GENGIVE?
Gli scienziati che hanno condotto lo studio hanno infettato alcuni topi geneticamente modificati per dimostrare la correlazione tra Alzheimer e il batterio delle gengive e hanno osservato come l’agente patogeno abbia aggredito il cervello dei roditori colonizzandone il tessuto, portando alla produzione di beta amiloide e proteina tau oltre che alla presenza di enzimi chiamati gingipain che sarebbero responsabili della neurodegenerazione. Partendo da questi risultati, gli scienziati hanno iniziato a sviluppare dei farmaci in grado di inibire l’azione del batterio a livello cerebrale prendendo di mira i gingipain. Inibendo un composto chiamato COR388 si è riusciti a ridurre non solo la carica batterica, ma anche la produzione di placche di beta amiloide, oltre che la neuroinfiammazione ai danni dell’ippocampo. Come riportato da Fanpage, il prossimo passo nella ricerca consiste nel verificare che anche negli esseri umani il processo sia lo stesso. A tal proposito saranno presto condotti trial clinici di fase 2 e 3 per capire se le terapie saranno in grado di avere degli effetti positivi sulle funzioni cognitive dei tanti malati in attesa di una cura che al momento non esiste.