Non è la prima volta che il morbo d’Alzheimer viene associato al virus herpes simplex. Studi precedenti, infatti, avevano osservato come quest’ultimo promuovesse la formazione di biomarcatori molecolari di neurodegenerazione. Qual è allora la svolta principale rappresentata dalla ricerca italiana coordinata da Anna Teresa Palamara del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza? Come riportato da La Repubblica, Giovanna De Chiara ha osservato:”La novità più rilevante di questo lavoro consiste nell’aver validato questi risultati in un modello animale (topi) e nell’aver dimostrato che l’accumulo di questi biomarcatori si associa a deficit di memoria, che è senza dubbio il tratto caratterizzante della malattia di Alzheimer”. Palamara spiega:”I nostri risultati suggeriscono la necessità di prestare una maggior attenzione al nesso tra agenti microbici e neurodegenerazione, e di lavorare alla messa a punto di nuove strategie terapeutiche e/o preventive finalizzate a limitare le riattivazioni virali e la diffusione del virus nel cervello”. (agg. di Dario D’Angelo)



COME AGISCE IL VIRUS

Anna Teresa Palamara ha parlato dell’Alzheimer e il virus herpes simplex come fattore di rischio. La dottoressa che ha coordinato lo studio ha specificato: “Le recidive delle ben note vescicole sono dovute al fatto che il virus si annida, in forma latente, in alcune cellule nervose che si trovano fuori dal cervello. In seguito a diverse condizioni di stress il virus si riattiva e va incontro a replicazione e diffusione alla regione periorale”. Sicuramente una scoperta importante che potrà dare un contributo decisivo anche nella prevenzione, cercando sempre di lavorare con attenzione su nuovi sviluppi per la medicina. Il team di ricerca dell’Università La Sapienza di Roma riesce ancora a regalarci il progresso, mettendo la quinta per riuscire a raggiungere dei risultati che non possono che far ben sperare in vista del futuro. (agg. di Matteo Fantozzi)



ECCO COME DEGENERA LE CELLULE NERVOSE

Alzheimer, il virus herpes simplex rappresenta un potenziale fattore di rischio nello sviluppo di questa patologia neurodegenerativa. È questo uno dei principali risultati di una ricerca condotto, presso l’Università La Sapienza di Roma, dal Dipartimento di Sanità Pubblica assieme anche all’Università del Sacro Cuore, l’IRCSS “Raffaele Pisana” e pure il Consiglio Nazionale delle Ricerche: il team tutto italiano di ricercatori ha infatti messo in luce per la prima volta, seppure in forma ancora sperimentale, come il virus dell’herpes HSV-1 possa essere associato all’insorgenza della malattia di Alzheimer. Un legame fino ad oggi ancora poco studiato e che, basandosi per adesso su degli studi sugli animali, secondo gli scienziati metterebbe in connessione le classiche vesciche provocate sulle labbra e le relative infezioni alle patologie a carico del cervello. Infatti pare che una continua “riattivazione” del virus dell’herpes simplex nel corso della vita porti a sviluppare nel cervello quelli che sono i cosiddetti biomarcatori di neurodegenerazione tra cui la proteina tau iperfosforilata e il peptide beta-amiloide.



L’HERPES SIMPLEX E IL LEGAME CON L’ALZHEIMER

Il team di ricerca coordinato da Anna Teresa Palamara ha infatti individuato questa connessione, spiegando che l’accumulo nel cervello dei suddetti biomarcatori a seguito delle “riattivazioni” del virus ha come conseguenza dei deficit cognitivi tipici dell’Alzheimer. Non solo: infatti il virus dell’herpes si anniderebbe anche in alcuni tipi di cellule nervose che non si trovano nel cervello e “producendo però in quella sede dei danni che tendono ad accumularsi nel corso del tempo”. A differenza degli studi condotto in passato a proposito dell’incidenza del virus, questa volta i ricercatori italiani hanno dimostrato che la recidiva delle infezioni si accompagnano a quei deficit di memoria che caratterizzano la malattia di Alzheimer. Ovviamente non tutti coloro che soffrono di herpes alle labbra devono temere questo effetto di neurodegenerazione delle cellule dal momento che per adesso il legame è stato dimostrato solo su di un modello animale e comunque si sottolineano soprattutto i casi in cui l’infezione latente si riattivi costantemente.