Accompagnati dalle informazioni messe a disposizione nel Rapporto Health at a glance 2023. OECD indicators e dalla prudenza con cui leggere e interpretare i numeri riscontrati nelle diverse nazioni europee, proviamo a rispondere alla domanda: con cosa e come ci si cura in Europa? Per fare questo le informazioni che vengono a fagiolo riguardano la dotazione di posti letto ospedalieri e le attività di ricovero, la dotazione di alcuni strumenti diagnostici, qualche esito dei ricoveri, la forza lavoro sanitaria ed il consumo di farmaci, sempre avendo come unità di osservazione i singoli Paesi. Gli indicatori valutati sono sintetizzati nella Tabella 1.
Tabella 1. Alcuni indicatori che misurano come e con cosa ci si cura in Europa. Dati relativi all’anno più recente. Fonte Eurostat. In verde i valori migliori della media, in rosso i valori peggiori della media.
Letti e ricoveri. Il tasso di posti letto ospedalieri (sono esclusi i letti di lungodegenza residenziale) ogni 1.000 abitanti nel 2021 è risultato in Europa di 4,3 letti, con un minimo di 2 in Svezia ed un massimo di 7,9 in Bulgaria, e l’Italia che registra un valore di 3,1 x 1.000 ab inferiore alla media europea. Pochi letti si riscontrano (oltre che in Svezia) nel Regno Unito (2,4) ed in Danimarca (2,5), mentre all’opposto abbiamo la Romania (7,2) e la Germania (7,8) che precedono di poco la Bulgaria. In generale è tutto il nord Europa (Finlandia, Danimarca, Islanda, Irlanda, Olanda, Norvegia, Svezia, Regno Unito) ad avere pochi letti ospedalieri. Si può anche aggiungere che in 10 anni il totale dei letti delle nazioni considerate è diminuito dello 0,5 x 1.000 ab (da 4,8 a 4,3); la diminuzione ha interessato tutte le nazioni ad esclusione di Bulgaria, Portogallo, Romania e Turchia; in alcune nazioni la diminuzione è stata maggiore (Finlandia, Lituania, Lussemburgo) ed in altre è stata invece minore (Spagna, Grecia, Slovenia); in Italia la diminuzione è stata di 0,4 letti x 1.000 ab.
Nel complesso, il tasso di occupazione dei posti letto in Europa è piuttosto basso (69,8%), se si considera che il valore consigliato per non andare in sofferenza di letti è attorno al 85% (tra l’altro sopra questo valore ci sarebbe solo l’Irlanda: 89,9%). Oltre all’Irlanda i valori più elevati si riscontrano nel Regno Unito (80,9%) ed in Svizzera (80,3%), mentre sul lato opposto la Turchia e diverse nazioni dell’Est europeo presentano valori molto inferiori alla media, dalla quale invece non si discosta sostanzialmente l’Italia (71,3%).
16,9 ogni 100.000 abitanti è la media europea dei posti letto di terapia intensiva con valori che variano dai 4,8 dell’Islanda, 4,9 della Svezia e 5,5 della Finlandia ai 39,6 della Turchia, 41,1 dell’Estonia e fino ai 45,5 della Repubblica Ceca. L’Italia, con 11,6 letti ogni 100.000 abitanti, si colloca tra il Portogallo (10,2) e la Spagna (12,6), tutte e tre con valore molto inferiore alla media (16,9) e lontane, ad esempio, da Francia (27,8) e Germania (29,3). I posti letto di terapia intensiva, tendenzialmente più bassi nel nord Europa, non mostrano però una geografia facilmente identificabile.
Il tasso di ricovero (calcolato alla dimissione) è risultato in media di 130,5 ogni 1.000 abitanti, con punte superiori a 200 in Bulgaria (292,7), Germania (217,9) e Austria (209,2) e valli in Olanda (80,2), Italia (93,3) e Portogallo (102,9). Anche questo parametro non sembra presentare una geografia ben definita.
La durata media del ricovero – anche se è un parametro dal significato non univoco (è il combinato di efficienza e gravità, indicatori che spingono in direzioni opposte la durata del ricovero) – è risultata in Europa di 7,7 giorni con valori molto elevati in Portogallo (9,3), Repubblica Ceca (9,6) e Ungheria (9,7), e viceversa più bassi in Turchia (4,4), Olanda (5,2), Svezia e Bulgaria (5,5).
45,6 ogni 1.000 abitanti con più di 65 anni sono i posti letto dedicati alla lungodegenza nel complesso delle nazioni esaminate, con una grande variabilità tra i Paesi: si va dai 2,5 della Grecia, 2,6 della Bulgaria e 9,5 della Turchia ai 67,4 del Belgio, 77,1 dell’Olanda e 79,6 del Lussemburgo. L’Italia, nonostante la lunga vita media della popolazione (o forse proprio per la quota elevata di ultra 65enni) ha pochi letti di lungodegenza (21,8) in compagnia con la gran parte delle nazioni dell’Est europeo.
Mettendo in relazione tra loro gli indicatori della Tabella 1, le uniche due associazioni che emergono sono quelle tra il tasso di posti letto ed il tasso di ricovero (al crescere dell’uno cresce in modo più che lineare l’altro) e tra il tasso di posti letto ed il tasso di occupazione (al crescere dell’uno l’altro decresce linearmente).
La grande variabilità dei valori degli indicatori ospedalieri nelle diverse nazioni, al di là delle divergenze nelle definizioni e nella costruzione degli indici che occorre sempre considerare, riflette soprattutto il diverso ruolo che assume l’assistenza ospedaliera nei sistemi sanitari dei singoli Paesi, assistenza che sembra avere, in termini numerici, un minore ruolo nelle nazioni nordiche. Colpisce inoltre il, tutto sommato, basso tasso di occupazione dei posti letto, indice che l’efficienza erogativa può essere migliorata, tasso che per altro in 10 anni in Europa è inaspettatamente passato dal 76,7% al 69,8% con una diminuzione di quasi 7 punti percentuali.
Un secondo capitolo per il quale ci sono informazioni riguarda le tecnologie diagnostiche, ed in particolare la tomografia computerizzata (CT), la risonanza magnetica (MRI), e la tomografia a emissione di positroni (PET): per queste tecnologie sono disponibili il numero di strumenti (per 1.000.000 di persone) ed il numero di esami eseguiti (ogni 1.000 abitanti). In media ci sono 48 strumenti ogni milione di persone, con valori bassi in Ungheria (16), Regno Unito (19) e Turchia (28), e valori invece elevati in Grecia (80), Italia (76) e Germania (71). All’Est dell’Europa ci sono meno strumenti che all’Ovest ma molte nazioni si discostano dai valori dei loro vicini creando una geografia poco riconoscibile.
Con questi strumenti si sono fatti in media 254 esami ogni 1.000 ab: molti di più in Lussemburgo (367), in Francia (366) ed in Austria (364) e di meno in Romania (80), Bulgaria (102) e nel Regno Unito (148). L’Italia, con 184 esami ogni 1.000 ab, è al di sotto della media in compagnia di tutto l’Est europeo. Seppur con una certa variabilità tra Paesi, vi è una correlazione positiva tra il numero di strumenti ed il numero di esami effettuati.
Mettendo a rapporto gli esami eseguiti con gli strumenti disponibili, e considerando 220 giornate di lavoro in un anno, nel complesso ogni strumento effettua 24 esami al giorno, con valori bassi in Bulgaria (9), Romania (10) e Italia (11) e viceversa valori alti in Ungheria (73), Portogallo (50) e Francia (42).
Con un’assistenza territoriale che funziona si ritiene che si possano evitare alcune tipologie di ricoveri: i dati OECD considerano inappropriati i ricoveri per asma, per broncopatie cronico-ostruttive, e per insufficienza cardiaca congestizia nei soggetti con più di 15 anni. A fronte di una media di 437 ricoveri ogni 100.000 abitanti, l’Italia con i suoi 214 ricoveri è la nazione che ne fa di meno, seguita dal Portogallo (266) e dall’Islanda (308), mentre all’estremo opposto troviamo la Turchia (827), la Germania (728) e la Polonia (663). La distribuzione geografica vede valori superiori alla media in diverse nazioni occidentali, ed esiste una correlazione positiva tra tasso di letti complessivi e tasso di ricoveri ritenuti inappropriati.
La mortalità a 30 giorni dopo un ricovero per infarto del miocardio e/o per ictus ischemico è un indicatore della qualità sia dell’accesso che del processo di cura. In Europa, si sono osservati a 30 giorni circa 15 decessi ogni 100 ricoveri per tali patologie in soggetti con più di 45 anni, con valori particolarmente bassi in Islanda (4,8), Norvegia (5,7) e Olanda (7,8), e valori alti in Lettonia (36,4), Lituania (25,7) ed Estonia (20,3). Ai valori elevati delle tre repubbliche baltiche dell’Est si devono aggiungere anche la Finlandia (16,4) ed in genere tutti i Paesi dell’Est. Con i suoi circa 12 decessi ogni 100 ricoveri l’Italia si trova al di sotto della media.
Per curare i cittadini delle nazioni considerate sono impiegati 3,7 medici e 9,2 infermieri ogni 1.000 abitanti, con 2,5 infermieri per ogni medico. Si va dai 2,2 medici x 1.000 della Turchia, e del Lussemburgo e 3,2 di Francia e Regno Unito ai 5,4 dell’Austria, 5,6 del Portogallo e 6,3 della Grecia. Per gli infermieri i valori più bassi si riscontrano in Turchia (2,8), Grecia (3,8), Bulgaria e Lettonia (4,2), ed i valori più elevati in Finlandia (18,9), Svizzera (18,4) e Norvegia (18,3). L’Italia ha un valore di medici (4,1) leggermente superiore alla media ma è carente di infermieri (6,2), con un rapporto solo di 1,5 tra infermieri e medici. In generale non si osserva correlazione tra le due quote di personale sanitario. Con alcune eccezioni, è l’Est europeo che è carente di personale, sia medici che infermieri. Il diverso rapporto tra infermieri e medici, massimo in Finlandia (5,25) e Svizzera (4,18) e minimo in Bulgaria (0,98) e Grecia (0,60) dove i medici superano gli infermieri, è un segnale evidente di come i diversi servizi sanitari nazionali stanno affrontando con il personale il tema della cura e della assistenza dei propri cittadini.
Da ultimo si considera il comparto farmaceutico, per il quale OECD mette a disposizione i consumi (in termini di DDD – Defined Daily Dose – per 1.000 persone per giorno) di farmaci riferiti ad alcune selezionate condizioni croniche (antiipertensivi, agenti che modificano i lipidi, antidiabetici, antidepressivi) nonché i consumi di farmaci generici e biosimilari. Per le condizioni croniche selezionate, a fronte di una media di 613 DDD x 1.000 persone si osservano valori più bassi in Turchia (355), Lettonia (377) e Austria (411), e valori più alti in Germania (945), Finlandia (861) e Danimarca 792), con l’Italia (595) appena sotto la media. Per quanto riguarda i generici e biosimilari il loro consumo, in volume, rappresenta in media il 54% del mercato, con punte in Germania (83%), Regno Unito (80%) e Olanda (79%) e bassi valori in Lussemburgo (18%), Svizzera (23%) e Italia (27%), ma in questa statistica mancano i dati di molti Paesi dell’Europa dell’est.
Con i pochi indicatori riportati nella Tabella 1 non si può pensare di avere compiutamente descritto le caratteristiche delle modalità con cui i diversi Paesi affrontano il tema della cura. Tuttavia, appaiono evidenti le scelte, per motivi che i dati naturalmente non spiegano, che i tanti Paesi hanno effettuato dal punto di vista del personale, dell’uso degli ospedali, dell’investimento in tecnologie diagnostiche e così via. È sempre l’Est europeo, in generale, che manifesta le carenze più evidenti, ma per molti indicatori la geografia non risulta così ben caratterizzata e le scelte appaiono molto più localmente diversificate risultando conseguenza probabile di scelte peculiari fatte dai singoli servizi sanitari.
Quale valutazione si può dare della situazione italiana? Per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera, il nostro Paese è dotato di posti letto (di acuzie, di terapia intensiva, ma anche di lungodegenza residenziale) in misura inferiore alla media europea, ma questa dotazione è giustificata da un tasso di ricovero decisamente inferiore alla media che, combinato con una durata media del ricovero più alta che in altri Paesi, porta ad un tasso di occupazione dei posti letto appena superiore alla media. Non solo, la minore necessità di posti letto ospedalieri si riflette anche, positivamente, nel basso numero di ricoveri che nel nostro paese risultano inappropriati in quanto si riferiscono a condizioni che possono essere trattate sul territorio. La diminuzione dei posti letto che è avvenuta nel nostro paese (0,4 x 1.000 in 10 anni), e che da molti osservatori viene valutata negativamente, è conforme a quello che è successo nella media europea.
Abbiamo molte tecnologie diagnostiche costose (CT, MRI, PET) ma il loro utilizzo non è ottimale (solo 11 esami per ogni strumento ogni giorno). In termini di mortalità a 30 giorni, per le condizioni esaminate, la performance complessiva del sistema sanitario risulta buona. È molto chiara la situazione del personale, con un eccesso di medici e un importante deficit di infermieri, anche se da altre informazioni sappiamo che la classe medica è molto anziana (sono previsti oltre 40.000 pensionamenti nei prossimi 5 anni), mal distribuita e mancante in alcuni settori (emergenza-urgenza, medicina di base). Ciò fa prevedere che, a breve, ci possano essere difficoltà complessive anche per i medici. Da ultimo, i consumi farmaceutici per malattie croniche sono in linea con il valore medio europeo, però in Italia è basso il consumo di farmaci generici e biosimilari.
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