Arrivati al termine di questo giro per l’Europa parlando di sanità e di salute in maniera quantitativa grazie agli indicatori messi a disposizione dall’OCSE nel rapporto Health at a glance 2023. OECD indicators, e volendo approfondire il tema del finanziamento (o delle spese) dei servizi sanitari nazionali, a chi ha fatto latino alle scuole medie o alle superiori ed ha anche solo qualche nozione elementare di come si finanzia la sanità nel nostro Paese viene per forza in mente il famoso detto “in cauda venenum”.
Perché? Abbiamo visto che rispetto alle nazioni europee la salute dell’Italia va bene (attesa di vita più lunga, mortalità evitabile minore, cronicità più bassa); in termini di abitudini di vita e di comportamenti salutari abbiamo risultati migliori della media per alcuni indicatori (alcol, obesità, sovrappeso) ma peggiori per altri (fumo, consumo di frutta e verdura, attività fisica, ambiente); andiamo bene nelle attività vaccinali, e nello screening per il tumore della mammella ma non per quello della cervice uterina; spendiamo in prevenzione più di altri; abbiamo meno letti di altri ma li usiamo in maniera più efficiente, facciamo meno ricoveri ma con durata più lunga; possediamo più strumenti diagnostici complessi ma li usiamo di meno; abbiamo più medici ma meno infermieri; consumiamo meno farmaci per la cronicità e usiamo poco i farmaci generici e biosimilari. In poche parole: ci sono aspetti dove abbiamo una performance migliore di altre nazioni ed altri aspetti dove dobbiamo sicuramente migliorare.
Quando arriviamo però al tema delle risorse economiche e della spesa, tutti quelli che ne parlano propongono giudizi estremamente negativi (poche risorse, poche spese per la sanità e la salute), ed è unanime il coro che canta “si può dare di più … senza essere eroi”: ecco perché trattando per ultimo il tema delle risorse viene appunto in mente “in cauda venenum”. In questo contributo proviamo allora ad esplorare alcuni dettagli del tema risorse sintetizzati nella tabella che segue.
Tabella 1. Alcuni indicatori di spesa per la sanità in Europa. Dati relativi all’anno più recente. Fonte Eurostat. In verde i valori migliori della media, in rosso i valori peggiori della media.
Partiamo dall’indicatore più classico e più frequentemente citato da chi ne parla: il rapporto percentuale tra la spesa e il PIL, che i dati OECD presentano considerando nella spesa sia la quota che ci mette lo Stato sia quella che aggiunge il cittadino di tasca propria (out of pocket) attraverso molte e diverse tipologie di spesa. Questo rapporto vale in media il 9,2% del PIL, con valori più elevati in Germania (12,7%), Francia (12,1%) e Austria (11,4%), e valori più bassi in Turchia (4,3%), Lussemburgo (5,5%) e Irlanda (6,1%). L’Italia, con il suo 9%, è appena sotto la media. Gli alti valori di Germania e Francia sono spinti dalla spesa dello Stato (rispettivamente 10,9% e 10,3%), che è alta anche nel Regno Unito (9,3%) ed in Svezia (9,2%), ed anche in questo caso l’Italia, con il suo 6,8%, è appena al di sotto della media (7%). La spesa out of pocket (2,2% del PIL in media) è più elevata in Portogallo (3,9%), Svizzera e Grecia (3,5%) mentre si spende poco rispetto al PIL in Lussemburgo (0,8%) e Turchia (1%). L’Italia (2,2% del PIL) è esattamente in media.
L’Est europeo è tutto sotto la media del rapporto Spesa/PIL, ma inferiori alla media sono anche Grecia, Islanda, Irlanda, Italia, Lussemburgo e Norvegia. Tra spesa dello Stato e spesa out of pocket, come percentuale del PIL non sembra esserci relazione. Per alcune nazioni (Germania, Regno Unito, Portogallo, e Italia), oltre che per la media OCSE, il volume OECD riporta il rapporto Spesa/PIL dal 2006 al 2022 (Figura 1). Se si escludono il triennio 2008-2010 ed il periodo pandemico, dove si registra un picco del rapporto, solo la Germania nel decennio tra i due picchi segnala valori in aumento, mentre Regno Unito, Portogallo, e Italia, nonché la media OECD, risultano sostanzialmente costanti seppur su valori diversi (più alti nel Regno Unito e più bassi in Italia).
Figura 1. Andamento nel tempo del rapporto percentuale tra spesa e PIL per alcune selezionate nazioni. Fonte Eurostat.
Un secondo classico indicatore è la spesa pro-capite, anch’essa suddivisa nella quota a carico dello Stato ed in quella a carico del cittadino (Tabella 1). Quasi 5.000 USD è la spesa media totale delle nazioni considerate, con i valori più elevati in Svizzera (8.049) e Germania (8.011), e quelli più bassi in Turchia (1.827) e Romania (2.052). L’Italia (4.291) è inferiore alla media. Bulgaria (1.340) e Turchia (1.392) sono le nazioni dove è minore il contributo pro-capite dello Stato, mentre tale contributo è massimo in Germania (6.930) e Norvegia (6.637), con l’Italia (3.255) inferiore alla media (3.882). La quota out of pocket pro-capite è in media di 1.104 USD, con punte di 2.502 in Svizzera e 1.612 in Austria e, viceversa, di 341 in Croazia e 405 in Romania (l’Italia è a 1.036 USD pro-capite).
Tutto l’Est europeo è sotto la media della spesa pro-capite, ma anche Spagna, Portogallo, Italia e Grecia sono sotto la media. È interessante osservare che in termini di valore pro-capite la quota dello Stato e quella del cittadino risultano correlate positivamente (dove è più alta la prima è più alta anche la seconda). Un terzo indicatore è il rapporto tra la spesa sanitaria dello Stato e la spesa totale dello Stato (Tabella 1), rapporto che evidentemente dipende dal modello complessivo di finanziamento del sistema pubblico (e di quello sanitario) di ogni nazione.
Nel 2021 il 15,5% della spesa pubblica (dello Stato) è stata dedicata alla sanità, con un picco del 21,3% nel Regno Unito e del 20,9% in Irlanda, ed un minimo del 9,9% in Grecia e del 10,1 in Turchia. La quota di spesa dello Stato messa in sanità è più bassa della media in tutto l’Est europeo ma anche in Belgio, Finlandia, Grecia, Italia (12,4%), Lussemburgo, Portogallo, Spagna e Svizzera. È interessante anche la dinamica che ha avuto questo rapporto nel decennio 2011-2021 dove la spesa sanitaria a carico degli Stati è passata dal 14% al 15,5% della spesa pubblica totale, con un aumento di 1,5 punti percentuali. Più di tutti è aumentata in Lettonia (+5,6%) e Irlanda (+4,7%), mentre è diminuita in Grecia (-1,1%), in Turchia (-0,9%) ma anche in Italia (-0,8%).
Come noto, nel nostro Paese c’è un leggero sovrannumero di medici ed una grossa carenza di infermieri: forse perché sono mal pagati? Il rapporto OECD rende disponibile, per ciascuna delle due professioni, un indicatore che mette a confronto lo stipendio di un sanitario con quello di un salariato a tempo pieno di tutti gli altri settori economici (Tabella 1). Nel complesso la remunerazione di un medico nelle nazioni esaminate è 2,6 volte quella di un altro lavoratore, con punte in Ungheria (4,7 volte), Germania e Irlanda (3,4 volte), mentre la differenza è minore in Polonia (1,4 volte) e in Lettonia (1,7 volte), con l’Italia posizionata esattamente sulla media (2,6 volte). Diverso è il caso degli infermieri, il cui stipendio in media è 1,2 volte quello di un altro lavoratore: di più (1,5 volte) in Belgio, Repubblica Ceca, Lussemburgo, Slovenia; di meno (0,9 volte) in Finlandia, Lettonia, Svizzera e Regno Unito. L’Italia è leggermente sotto la media, con uno stipendio degli infermieri che non si distingue da quello degli altri lavoratori. Per medici ed infermieri nella remunerazione rispetto agli altri lavoratori non si riconosce una specifica geografia europea.
Da ultimo merita qualche informazione la spesa farmaceutica (Tabella 1). In un anno in media si spendono 614 USD pro-capite ed il 58% di questa spesa è a carico dei servizi sanitari (il resto è speso dai cittadini di tasca propria). Si spende molto di più della media in Germania (1.006) seguita a lunga distanza da Bulgaria (759) e Svizzera (740), mentre poco spendono la Danimarca (299), l’Estonia (405) e la Norvegia (437). In genere spendono di meno i Paesi nordici mentre l’Italia (692) è superiore alla media. La Francia (83%), l’Irlanda (82%) e la Germania (81%) sono le nazioni dove la spesa farmaceutica è maggiormente a carico dello Stato, mentre la Bulgaria (24%), la Polonia (35%) e la Lettonia (41%) sono i Paesi dove lo Stato ci mette di meno e la spesa ricade di più sui cittadini: in Italia (63%) la quota che ci mette lo Stato è leggermente superiore alla media.
Per i farmaci generici e biosimilari in media si spende il 25% della spesa totale farmaceutica (anche se i dati sono mancanti in molte nazioni) ma la spesa diventa il 54% nel Regno Unito ed il 46% in Lettonia. Si spende invece molto poco in generici in Lussemburgo (5%) ed in Italia (9%).
Volendo tentare una sintesi delle tante informazioni che sono emerse in questo giro sanitario dell’Europa, si potrebbe dire così.
Europa. Per molti indicatori l’Europa presenta una chiara geografia Est-Ovest, con le nazioni dell’Est europeo che presentano i valori più sfavorevoli; per altri (pochi) indicatori la geografia è Nord-Sud o solo Nord (dove il Nord performa meglio); e per altri ancora non si osserva una geografia riconoscibile in quanto i valori degli indicatori si presentano a macchia di leopardo, frutto probabile di specifiche scelte nazionali. Le grandi eterogeneità osservate dicono comunque che se vogliamo parlare di Europa in quanto tale, sanità e salute non possono essere elementi marginali, come lo sono oggi per via degli attuali trattati in vigore su queste materie.
Italia. Il nostro Paese si comporta molto bene dal punto di vista della salute, mentre presenta dei chiaroscuri sia dal punto di vista della prevenzione che della cura, perché in questi due settori a fronte di alcuni indicatori che sono migliori della media ve ne sono altri che sono invece peggiori e per migliorare i quali è necessario intervenire.
Il vero punto dolente (appunto: “in cauda venenum”) riguarda la batteria degli indicatori economici (oltre alla carenza di infermieri e al basso consumo di farmaci generici), che in generale restituiscono valori che sono inferiori alla media europea e soprattutto inferiori ai corrispondenti valori delle nazioni con cui è più ragionevole il confronto (Francia, Germania, …).
Il contrasto tra i valori degli indicatori di salute e gli indicatori economici è un indizio evidente che lo stato di salute del nostro Paese non dipende solo dal servizio sanitario, anche se quest’ultimo dà certamente una mano e va ulteriormente valorizzato con investimenti economici che sarebbe preferibile indirizzare verso quelle aree dove gli indicatori disponibili ci dicono che il sistema è in sofferenza oppure può migliorare le proprie prestazioni.
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