Il messaggio è condiviso anche dall’Organizzazione mondiale della sanità: sulla salute mentale occorre “cambiare il paradigma dell’assistenza”. È importante chiarire che si tratta di un cambiamento di paradigma che deve iniziare dalla conoscenza del problema, almeno nella sua dimensione strutturale, ma non può prescindere dall’analisi dell’aspetto economico e di tutto ciò che richiede la tutela della salute mentale. Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha affermato: “In Italia 776mila persone sono state assistite nel 2022; mentre le prestazioni erogate nel 2022 dai servizi territoriali ammontano a oltre 9 milioni e 300mila; vanno dalla attività infermieristica e psichiatrica alla riabilitazione e risocializzazione territoriale, fino al supporto alla famiglia”. Passando all’analisi degli aspetti economici del problema, ha aggiunto: “Vogliamo andare incontro a Regioni che non hanno investito i 60 milioni che avevano a disposizione, chiedendo di prolungarne la scadenza”.



In sintesi, in Italia esiste il problema della salute mentale, ed è un problema serio, che riguarda non solo i pazienti, ma tutte le loro famiglie. Di fatto si sta facendo molto, ma non è abbastanza e non solo per mancanza di risorse, che comunque appaiono ancora insufficienti; il problema è che non si riesce a spendere in modo efficace neppure quelle che sono attualmente disponibili. Probabilmente è proprio quello che ci vuol dire l’Oms, quando afferma, appunto, che occorre cambiare il paradigma dell’assistenza. In effetti le criticità principali emerse in questi giorni, sia a livello istituzionale che per iniziativa di associazioni che si occupano di salute mentale, si possono sintetizzare in tre parole chiave.



Prevenzione

Occorre prevenzione, soprattutto a livello sociale, o per lo meno una diagnosi precoce che consenta, insieme a una possibile valutazione predittiva, una serie di interventi adeguati all’età sempre più giovane dei pazienti. Secondo il presidente Mattarella: “È responsabilità comune promuovere politiche di prevenzione, di presa in carico precoce, inclusione e sostegno, fornendo ai ragazzi gli strumenti per crescere in salute e alle loro famiglie il giusto supporto”.  Molto interessante l’indagine Focus sulla salute mentale e il benessere degli adolescenti in Europa e Asia centrale, basata sui dati dello studio Health Behavior in School-aged Children (HBSC) 2021-2022, che monitora i comportamenti sanitari e gli ambienti sociali di quasi 280mila tra ragazzi e ragazze di 11, 13 e 15 anni provenienti da 44 paesi dell’Europa e dell’Asia centrale. “Le sfide affrontate dai giovani oggi sono diverse e impegnative, e vanno dalla crisi climatica alle pressioni accademiche, alle aspettative sociali fino all’influenza pervasiva dei social media”, ha affermato Hans Henri P. Kluge. Un adolescente su sette, tra i 10 e i 19 anni, vive con un problema di salute mentale diagnosticato e la maggior parte delle 800mila persone che muoiono ogni anno per suicidio sono giovani. Il suicidio è la quarta causa principale di morte tra i giovani fra i 15 e i 19 anni.



Famiglie

Bisogna prendere in carico le famiglie, attraverso la creazione di reti di servizio differenziate, ma fortemente integrate tra di loro, in modo da combattere lo stigma della salute mentale, limitando il più possibile la solitudine di cui soffrono. Le crisi che si sono susseguite negli ultimi anni a livello globale hanno contribuito ad aumentare un livello di ansia e di insicurezza sempre più diffuso nella popolazione, esasperando la fragilità emotiva delle persone, facendole sentire sempre più sole in un contesto ostile e persecutorio. Le famiglie, spesso in crisi per motivi interni alle loro dinamiche affettive ma anche per ragioni economiche, non sono in grado di offrire ai loro figli quella solidità di rapporto che regge agli urti dell’adolescenza, ai traumi legati all’esperienza di una vita di gruppo in cui non mancano episodi di bullismo, è sempre più frequente l’assunzione di sostanze e l’esperienza di avventure estreme.

L’Oms ha invitato i 53 Stati membri dell’Europa a ripensare i sistemi di salute mentale presenti sul loro territorio; ad ascoltare più e meglio i problemi posti dalle famiglie e da coloro che operano all’interno di questi sistemi. Fin dai tempi della Legge Basaglia nel 1978 le famiglie sono rimaste al di fuori del progetto di cura dei propri cari; l’attenzione era concentrata sul processo di autodeterminazione del paziente per riconoscergli maggiore dignità e quindi maggiore responsabilità personale. Oggi più che mai si comprende come sia necessario ripartire dalle famiglie, saldando la spaccatura che si è creata tra il soggetto malato e la famiglia con una rete di servizi.

Risorse

Occorrono maggiori risorse a disposizione, a fronte di piani di intervento ben definiti e organicamente strutturati. Sorprende che molte Regioni non siano state in condizione di spendere il budget a loro disposizione. In queste ore è arrivato al tavolo della Conferenza Stato-Regioni il decreto di proroga dei tempi per accedere al riparto del fondo per l’Alzheimer e le demenze. Sempre allo stesso tavolo c’è anche il decreto sul riparto delle risorse Pnrr relative all’investimento “Casa come primo luogo di cura (Adi)”. Si tratta di un fondo di 5 milioni che dovrebbe essere erogato entro il 30 novembre 2023, sulla base di una relazione che le Regioni avrebbero dovuto presentare entro e non oltre il 31 ottobre 2023. Scadenza attualmente difficile da rispettare; per garantire comunque la piena realizzazione delle attività previste le risorse saranno spendibili fino al 21 marzo 2024, mentre la relazione finale delle attività e la loro rendicontazione andrà consegnata entro il 31 maggio 2024. In definitiva occorre imparare a spendere e a spendere bene, nei tempi previsti, le risorse disponibili prima di avere accesso a nuove fonti di finanziamento.

Per esplicita ammissione della viceministra con delega alle politiche sociali Maria Teresa Bellucci: “In Italia le emergenze della salute mentale e del benessere psicologico per troppo tempo sono state colpevolmente rimosse dalle priorità della politica, con un sottofinanziamento della rete dei servizi pubblici, ma anche del privato sociale”. La viceministra non si limita a lanciare un atto di accusa, forte, chiaro ed esplicito, per ciò che non si è fatto nelle legislature precedenti, elenca anche una serie di misure prese in questo primo anno di governo: “Abbiamo messo a bando 30 milioni di euro per la povertà educativa, insieme all’impresa sociale ‘Con i bambini’. Abbiamo messo a disposizione oltre 22 milioni di euro per il Terzo Settore, per la promozione di iniziative di sostegno psicologico e promozione della salute mentale. Nel Piano nazionale di inclusione sociale e lotta alla povertà abbiamo dedicato particolare attenzione a queste emergenze attraverso la dotazione di professionalità competenti in materia quali psicologi ed educatori”.

Come dire: il problema c’è, il Governo ne è consapevole, per questo ha messo insieme un pacchetto di risorse distribuito su vari fronti. D’accordo con quanto affermava il ministro della Salute, a proposito dei 5 milioni non spesi, occorre cominciare a spendere e a spendere bene quel che già c’è, per potere chiedere altre risorse. Il vero nodo allora è capire perché su di un punto su cui si è tutti d’accordo prevalga comunque quel tragico immobilismo che è la vera patologia del nostro sistema Paese. Una vera e propria patologia mentale.

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