Il saluto romano è reato o no? Lo stabilirà la Cassazione, a Sezioni Unite, il 18 gennaio. La sentenza attesa riguarda la vicenda del corteo per Sergio Rametti a Milano nel 2016, ma può fare scuola alla luce di quanto accaduto per Acca Larentia a Roma. La prima pronuncia collegiale conferisce un peso specifico differente alla questione, visto che finora le sentenze sono state diverse a seconda del tribunale e del giudice.



La settimana prossima, dunque, le sezioni unite penali della Suprema Corte esamineranno la questione del saluto fascista e dovranno sciogliere il “nodo” relativo ad un contrasto interpretativo della norma, sollevato dalla prima sezione penale della Corte in un’ordinanza dello scorso settembre, con la quale ha trasmesso gli atti alle sezioni unite. Il caso di specie, chiarisce Repubblica, riguarda il processo per la manifestazione del 29 aprile 2016 a Milano per commemorare la morte di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani. Vi parteciparono oltre mille persone. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, gli imputati risposero alla chiamata eseguendo il saluto romano.



SALUTO ROMANO TRA DUE LEGGI E CONDANNE CONTRADDITTORIE

Nel 2022 la quarta sezione della Corte d’Appello di Milano, come ricostruito da Repubblica, condannò otto militanti di estrema destra che fecero il saluto romano a 2 mesi di carcere e 200 euro di multa sulla base della legge Mancino, ribaltando l’assoluzione di primo grado del 2020. I giudici si basarono sulla violazione dell’articolo 2 del decreto legge 122/1993, spiegando che gli imputati avevano «compiuto manifestazioni esteriori proprie e usuali di organizzazioni e movimenti tra cui anche il Partito Nazionale Fascista». I legali degli otto annunciarono dopo la sentenza il ricorso in Cassazione.



I giudici della Suprema Corte il 18 gennaio saranno chiamati a chiarire «se la condotta tenuta nel corso di una pubblica manifestazione consistente nel cosiddetto “saluto fascista”, evocativo della gestualità propria del disciolto partito fascista, sia sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 2 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, nella legge 25 giugno 1993, n. 205», cioè la legge Mancino, in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, «ovvero in quella prevista dall’art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645», la cosiddetta legge Scelba, che attua la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.

LE OSSERVAZIONI DELLA PRIMA SEZIONE PENALE

La prima sezione penale nell’ordinanza di rimessione osservò che, tenendo conto di un primo orientamento giurisprudenziale, il saluto romano è «sussumibile nella fattispecie dell’art.2 dl n.122 del 1993». Quindi, si tratta di una manifestazione esteriore che rappresenta «una rappresentazione tipica delle organizzazioni o dei gruppi che perseguono obiettivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa, essendo costituiti per favorire la diffusione di ideologie discriminatorie». Di conseguenza, si concretizza «una manifestazione tipica dei gruppi che perseguono finalità discriminatorie, che non necessitano di alcun collegamento, anche solo indiretto, con organizzazioni di ispirazione fascista».

Nell’ordinanza della prima sezione penale, spiega Repubblica, si segnala che a questo orientamento, però, se ne contrappone un altro, secondo il quale il saluto fascista è riconducibile alla fattispecie «di cui all’articolo 5 legge n.645 del 1952 e postula che tali condotte siano idonee a determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni che si ispirano, direttamente o indirettamente, all’ideologia del partito fascista».