Il salva-casa del ministro Matteo Salvini va bene, anche se non è un provvedimento strategico per il mondo immobiliare. C’è bisogno di un intervento di largo respiro che adegui la legislazione alle nuove esigenze del settore, determinate dalle esigenze dei clienti, e a nuove normative come quella green varata dall’Unione Europea. Intanto, però, spiega Stefano Betti, vicepresidente di Ance, l’Associazione nazionale costruttori edili, con questo decreto si è reso possibile sistemare tutta una serie di piccole difformità che, nonostante le loro proporzioni, erano in grado di creare grossi problemi a chi doveva vendere un immobile. Ecco su che cosa sono state semplificate le procedure, prevedendo, anche con qualche oblazione, la possibilità di sistemare irregolarità di lieve entità.
Come giudica Ance il decreto salva-casa? I contenuti sono quelli che erano stati annunciati dal ministro Salvini?
Il giudizio è sostanzialmente positivo perché si cerca di intervenire su una serie di piccole difformità degli edifici, risolvendo ai privati complicazioni altrimenti difficilmente appianabili. Non si tratta di un condono. Sicuramente siamo in presenza di un provvedimento che non risolve i problemi della casa, ma che è assolutamente necessario, non strategico ma di semplificazione. Speriamo di risolvere in sede di conversione alcune piccole problematiche che sono rimaste ancora da chiarire o da migliorare, in particolare per quanto riguarda le destinazioni d’uso delle unità immobiliari.
Che cosa deve essere specificato in questo campo?
Oggi sono gestite dal provvedimento solo quelle senza opere, mentre si potrebbe lavorare anche su cambi di destinazione con opere di piccole dimensioni. Rimane poi il tema dei fabbricati ante 1977, che hanno una problematica a parte, non gestita, relativa ai cittadini che si erano comportati secondo le regole quando è stato costruito l’immobile, mentre oggi si trovano con regole diverse.
Viene risolta anche la questione della doppia difformità: significa che se ci sono difformità in una casa si guarda solo all’ultima normativa e non a quella di quando è stata costruita?
Ora ci si assicura che ci sia la conformità edilizia in relazione al momento in cui è stato costruito l’immobile e la conformità urbanistica in riferimento alla situazione attuale. Prima doveva esserci la doppia conformità edilizia e urbanistica sia per il passato che per il presente.
Prendiamo in considerazione i singoli capitoli del decreto: riguardo all’edilizia libera cosa viene stabilito?
Che comprende le vetrate panoramiche amovibili e le protezioni dal sole che non siano realizzate in modo tale da creare luoghi chiusi. E che vengono inseriti in questo ambito anche i porticati.
Riguardo alle tolleranze costruttive sono state stabilite delle percentuali che indicano quanto possono variare le misure delle unità immobiliari rispetto a quanto previsto sulla carta. Per un appartamento da 500 metri quadrati c’è ad esempio un margine del 2%, cosa significa?
C’è una tolleranza sulle dimensioni dell’immobile, che viene accettata perché ci può essere un fisiologico errore di costruzione. Una percentuale che viene ampliata per gli immobili più piccoli (è del 4% per quelli fra 100 e 300 metri quadrati e del 5% sotto i 100 metri quadrati, nda): gli errori in valore assoluto su un immobile piccolo incidono di più. Se l’errore è di un metro quadrato su un immobile di 500 metri incide poco, su uno di 50 molto di più.
Nel capitolo sulle tolleranze esecutive sono comprese diverse casistiche: cosa riguardano?
Qui ci sono tutte le operazioni minori, che si possono sistemare pagando delle oblazioni. I comuni possono fare cassa, ma i privati che vogliono mettere i loro immobili sul mercato degli affitti e delle vendite possono ottenere che siano liberi da lacci e lacciuoli che oggi renderebbero difficile la compravendita. Si parla di aperture interne, quindi di porte spostate lungo una parete un metro più in qua o più in là; di irregolarità geometriche relative alle misure, cioè se un muro che deve essere lungo 3 metri invece è di 5 centimetri in più o in meno. Quindi, ci sono le finiture, modificabili sempre se si tratta di casi di lieve entità.
Ci sono anche delle indicazioni che introducono il silenzio assenso se i comuni non rispondono entro tempi certi alle richieste dei cittadini?
Questo è un fatto molto importante. Oggi ci sono molte pratiche che giacciono nei comuni anche se sono finite. In questo caso vengono indicati dei tempi che mettono un po’ di pressione alle pubbliche amministrazioni, ma danno la certezza che ci siano risposte entro un determinato periodo, altrimenti l’operazione si considera assentita. Per domande di sanatoria si deve ottenere una risposta entro 45 giorni che in caso di Scia diventano 30. Se la risposta non arriva è come se il Comune avesse detto sì.
Tutte queste difformità da regolarizzare significano anche che c’è una normativa edilizia da sistemare? Oltre al salva-casa che cosa chiedono i costruttori?
I problemi veri del sistema-casa in Italia riguardano una normativa urbanistica ed edilizia completamente da revisionare, un nuovo rapporto che deve nascere fra Stato e regioni ai sensi del titolo quinto della Costituzione. Il ministro ha aperto alla possibilità che nel giro di qualche mese si inizi a mettere mano a tutto ciò con una delega sul testo unico dell’edilizia. C’è bisogno di una legislazione adeguata ai tempi: stiamo ancora lavorando con leggi di governo del territorio del 1942 quando le logiche erano quelle del dover realizzare case per la ricostruzione post-bellica. Lontane anni luce dalle esigenze del 2024, che sono quelle di considerare il consumo del suolo, di tenere conto delle direttive green dell’Europa, di definire nuove unità immobiliari come ad esempio gli studentati, rispondenti alle esigenze della collettività. Il salva-casa in questo contesto va bene ma non porta certo un cambiamento radicale. C’è bisogno di un grande programma di riforma della legge di governo del territorio.
(Paolo Rossetti)
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